Zerocalcare ci spiega quanto è difficile verbalizzare le emozioni

Un libro che parla di una difficoltà che è propria della maggior parte delle persone, quella di riuscire a verbalizzare le emozioni. C’è (soprattutto) questo alla base di Quando muori resta a me, l’ultimo graphic novel di Zerocalcare, uscito lo scorso 7 maggio alla vigilia del Salone internazionale del libro di Torino, dove sono stati distribuiti in esclusiva alcuni volumi con ‘variant cover’. E proprio all’auditorium ‘Giovanni Agnelli’ del Lingotto, nei giorni della fiera, il celebre fumettista romano ha dato una lettura chiara della propria opera.

Ma partiamo dal contenuto, a grandi linee. A 40 anni, Calcare intraprende un viaggio in auto con suo padre verso Merìn, paesino di fantasia tra le Dolomiti da cui provengono gli avi della famiglia paterna. La ragione della ‘spedizione’ è un problema all’abitazione ereditata dallo stesso padre, avvisato di una perdita da una misteriosa donna ‘pirata’. Il lungo tragitto da percorrere per arrivare a destinazione, e 48 ore nella località montana dispersa nel nulla, potrebbero essere l’occasione per il protagonista di capire meglio ‘Genitore 2’, ma padre e figlio, agli antipodi negli interessi, non sono capaci di parlarsi di cose significative. La vicenda ambientata nel presente si intreccia anche con il passato: la famiglia di Zerocalcare, emigrata nella Capitale alla fine della Prima Guerra Mondiale, non è vista di buon occhio in paese, e c’è chi proprio la odia. Le radici di questo odio, in qualche modo, si intrecciano anche al mistero che circonda, da 35 anni, il giorno più misterioso della vita di Calcare, quello che lui stesso, fin da piccolino, ricorda come ‘Il giorno di Merman’.

In Quando muori resta a me si parla di morte, paura della solitudine, rimpianti, tempo che scorre, eterna gioventù: tutti aspetti filtrati dal difficoltoso rapporto tra genitore e figlio, e riflessi nella quasi disperata ricerca di risposte su un passato in cui il divorzio familiare ha contribuito alla cesura nel rapporto più vero e sentito tra Zerocalcare e il padre. L’autore, dopo decine di pubblicazioni di grande successo, per la prima volta ha sentito l’esigenza di chiudere un cerchio, parlando in maniera diffusa dell’uomo che gli ha dato la vita, delle sue origini e del modo sterile (non in senso polemico) con cui sono tra di loro soliti intefacciarsi.

Nei fatti, quello di Zerocalcare con il padre è un rapporto che rispecchia da vicino quello di tantissime persone: chi non è passato, specie nell’adolescenza, in una situazione del tutto analoga a quella disegnata dall’autore? Un tipo di difficoltà che spesso ha strascichi fino all’età adulta, ed è motivo di rimpianti. Nel mettersi a nudo, Calcare riesce anche a scavare involontariamente – chissà se davvero involontariamente – nelle teste dei lettori e spiarli, mettendoli di fronte a una cruda verità. Zerocalcare esterna i propri sentimenti, ma assicura che il suo libro non ha alcun potere curativo, perlomeno su se stesso. “Io e mio padre non siamo capaci di dirci le cose – ha spiegato a Torino -. Ma con questo libro non ho nessuna soluzione”. Questo volume racconta le difficoltà, “ma se avessi avuto la soluzione avrei fatto un manuale, non un libro a fumetti”.

Sul piano narrativo, Zerocalcare sembra aver fatto un ulteriore passo avanti rispetto al passato, riuscendo a intrecciare con efficacia due piani temporali così distanti tra loro, eppure resi incredibilmente vicini e coerenti grazie ai giusti ‘incastri’. Se c’è un aspetto che non convince totalmente in Quando muori resta a me è l’utilizzo della lingua veneta, in misura maggiore del romanesco, non sempre resa al meglio (ma è un’inezia sulla quale si può tranquillamente sorvolare). C’è da dire che l’autore ha messo le mani avanti: “Ci sono delle parti in veneto – ha detto al Salone -, ma non sapevo come costruire le frasi, che ritmo dare. Ho chiesto l’aiuto di ChatGpt, ma poi ho pensato che il mio editore è originario del Veneto, e ho deciso che era meglio chiedere a lui”. Sia chiaro, un veneto potrebbe storcere un minimo il naso, ma la grandezza dell’opera non è minimamente intaccata.

Fonte : Today