Si trova in Antartide ed è stato ribattezzato il “ghiacciaio dell’Apocalisse” perché in caso di scioglimento minaccia di causare un innalzamento del livello dei mari di diversi metri. Ora una nuova ricerca pubblicata da un team di glaciologi, guidato da ricercatori dell’Università della California – Irvine, ha individuato la presenza di acqua marina calda e ad alta pressione sotto il Thwaites, come è chiamato ufficialmente il ghiacciaio più grande del mondo. Una scoperta decisamente allarmante, dal momento che l’infiltrazione di acqua calda potrebbe accelerare lo scioglimento del ghiacciaio.
La minaccia del ghiacciaio dell’Apocalisse
Secondo gli scienziati, alcune aree del ghiacciaio rischiano di subire un “vigoroso scioglimento” a causa del riscaldamento delle acque oceaniche provocato dai cambiamenti climatici, che potrebbe accelerare ulteriormente l’innalzamento del livello globale del mare.
“Il timore è che stiamo sottovalutando la velocità con cui il ghiacciaio sta cambiando, che rappresenterebbe uno scenario devastante per le comunità costiere di tutto il mondo“, ha dichiarato in un comunicato Christine Dow, docente dell’Università di Waterloo in Canada e coautrice dello studio.
Secondo l’International Thwaites glacier collaboration, una partnership internazionale dedicata alla ricerca sul ghiacciaio, il Thwaites perde ogni anno circa 50 miliardi di tonnellate di ghiaccio, contribuendo per circa il 4% all’innalzamento globale del livello del mare. Secondo una stima, lo scioglimento totale di questo gigante di ghiaccio potrebbe causare un aumento del livello medio globale degli oceani di oltre 60 centimetri.
Lo studio
Il nuovo studio, pubblicato lunedì sulla rivista scientifica Proceedings of the national academy of sciences, ha utilizzato i dati radar ad alta risoluzione raccolti tra marzo e giugno 2023 dal programma satellitare commerciale finlandese Iceye per comprendere più a fondo cosa accade sotto la superficie del Thwaites.
“Finora, alcuni dei processi più dinamici della natura non potevano essere osservati in modo sufficientemente dettagliato o con una frequenza tale da permetterci di comprenderli e creare dei modelli. L’osservazione di questi fenomeni dallo spazio e l’utilizzo di immagini radar satellitari […] rappresentano un progresso significativo”, ha dichiarato Michael Wollersheim, direttore delle analisi dell’Iceye e coautore dello studio.
Fonte : Wired