“Il mio nome di battaglia è Sicily. Oggi faccio 364 giorni in combattimento. Attualmente sono un sergente di Plotone del 2° battaglione della Legione Internazionale della Difesa Ucraina. Mi occupo di operazioni droni e sono il capo squadra del gruppo ‘Split’. Nel mio team siamo un italiano, uno spagnolo, un finlandese e tre americani. Ci occupiamo di correzione per l’artiglieria nemica e di sorveglianza e intelligence per un settore sulla linea del fronte tra Lyman e Kupiansk”.
A differenza degli altri italiani venuti a combattere, ‘Sicily’ è schivo, non ha molto interesse a mostrarsi ai media e lo ha fatto solo negli ultimi mesi perché la sua unità ha bisogno di raccogliere fondi per comprare droni e macchine. Il più vecchio del gruppo ha 38 anni, il più giovane 22.
“La decisione di venire a combattere l’ho presa uno dei primi giorni di guerra: guardavo il telegiornale che mostrava i combattimenti a Kyiv. E poi c’erano le immagini di questa giovane madre che aveva avuto una bambina dentro un bunker. Quello mi ha spinto. Mi sono mosso solo dopo un anno però per raggiungere di nuovo al fronte. Non mi ritenevo pronto a livello fisico, pesavo 125 chilogrammi e ho cercato di rimettermi in sesto andando in palestra e tornando ad addestrarmi. Tra il 2018 e il 2019 ho passato sei mesi in Siria con i curdi nelle brigate internazionali dello YPG”.
Insieme a Sicily, nella casetta che hanno preso in affitto in un villaggio a una trentina di chilometri dal fronte, ci sono altri ragazzi: Vixie, Kat, Scooter, Lorax e Koli.
“Kat significa boia in ucraino, ma non lo sapevo prima di venire qui. Anni fa uscivo con questa ragazza ucraina. Aveva uno dei suoi account sul mio telefono e si chiamava Katya. Così i miei amici hanno iniziato a chiamarmi Kat. E adesso uso questo nome in battaglia. Vengo dalla regione della Galizia, in Spagna. Per me essere qui è una questione morale: la democrazia, la libertà di una nazione, l’autodeterminazione. Mio nonno ha combattuto nella Confederación Nacional del Trabajo (Cnt) durante la Guerra Civile Spagnola. Sono il più giovane del gruppo e ha senso pensare che potrei morire mentre ho tutta la vita davanti a me. Il mio problema è che ho già fatto un sacco di cose, sfortunatamente, non tutte buone alla mia età. Sono stato in Mali a lavorare come contractor. Pensavo fosse un buon lavoro, ma ci sono cose che vanno oltre i soldi che puoi prendere se sei veramente convinto di fare la cosa giusta e che puoi fare la differenza. Se muori nel farlo, ne è valsa la pena”.
Kat del gruppo è quello che sembra il più riservato. Parla sempre a bassa voce. Ha un cappello mimetico da giungla sempre calato in testa, il suo fucile è quello più curato. Il gruppo si è riunito da poco. Koli, il finlandese, è appena rientrato. Faceva il carpentiere. Se gli chiedi il motivo della sua presenza qui, il primo è difendere i civili, il secondo la memoria di quello che i russi hanno fatto al suo paese e il timore che tutto ciò possa succedere nuovamente. È la sua quarta e ultima missione. Poi tornerà a casa, per sempre.
Sicily deve partire l’indomani per Pavlograd per recuperare un nuovo veicolo. Il loro è andato distrutto qualche giorno fa mentre rientravano dalle posizioni. Si comprano tutto: equipaggiamento, veicoli, benzina. A volte la convivenza non è facile. “Cerchiamo di mantenere un rapporto umano e sociale tra di noi e con il mondo esterno. La vita al fronte può essere difficile, significa spendere di più per prodotti di prima necessità, durante la notte non dormire bene perché c’è un missile che colpisce vicino a te…è uno stress, ma io e i miei compagni riusciamo a stare insieme”.
Scooter è andato a Sloviansk a comprare una moto da cross, una ‘Minsk’. Gira vestito come un biker quando è in abiti civili: bandana in testa, giubbotto e barba rossa lunga e curata. Viene dagli Stati Uniti, dal Texas. “Vedere saltare in aria i reparti maternità, rapire persone, stuprare bambini. Avevo la nausea di quello che stavano facendo i russi. Ho intravisto un’opportunità per fare qualcosa e sono qui ormai da due anni. Penso che se qualcuno ha bisogno del tuo aiuto, lo aiuti. Se sto guidando per strada e vedo qualcuno con il cofano aperto, e ho degli attrezzi e dei cavi, mi sento responsabile. E penso che se vedi accadere queste cose e permetti che accadano senza intervenire, sei colpevole tanto chi li compie. Per quanto mi riguarda, preferirei di gran lunga morire facendo questo piuttosto che vivere fino a cent’anni e dover affrontare il mio creatore e spiegargli perché non ho fatto nulla. Sono un credente, e per me questo è molto importante. Mia moglie non mi ha capito, mi ha detto: bene, vai. Non sarò qui al tuo ritorno. Ho detto okay, lo farò con o senza di te. Eravamo già in una situazione difficile del nostro matrimonio, le cose semplicemente non funzionavano”.
Persone totalmente diverse l’una dall’altra, provenienti dai posti più disparati, si ritrovano qui, in Donbas, con un’arma in mano. Eppure sono qui, con l’unico scopo di aiutare gli ucraini in questa difficilissima guerra. Il gruppo di Sicily ha adottato un gatto. Si chiama Maria, ma è un maschio, se ne sono accorti dopo qualche tempo. Kat ha le unghie smaltate di nero.
“Mi piacciono. Andavo a molti rave underground in Galizia. Dipingersi le unghie con diversi tipi di vestiti è molto comune lì. È una cosa estetica. Mi piacerebbe andarci anche qui in Ucraina, anche se non so dove li facciano. Ho una ragazza a Liviv adesso, e mi piace il Paese. Non vorrei partire se riesco a trovare qualcosa da fare. Amo molto gli animali, mi piacerebbe lavorare, a guerra finita, in campagna, creando un rifugio per loro. Ma c’è qualcosa nell’esercito che è davvero unico. Non puoi replicarlo con nient’altro. È un sentimento di fratellanza con i tuoi ragazzi e con il tipo di lavoro che svolgi. È qualcosa che probabilmente mi mancherà quando me ne andrò”.
A volte la convivenza non è facile, racconta Sicily. “Cerchiamo di mantenere un rapporto umano e sociale tra di noi e con il mondo esterno. La vita al fronte può essere difficile, significa spendere di più per prodotti di prima necessità, durante la notte non dormire bene perché c’è un missile che colpisce vicino a te. È uno stress, ma io e i miei compagni nonostante qualche piccolo scontro, riusciamo a stare insieme”.
Scooter è andato a Sloviansk a comprare una moto da cross. Gira vestito come un biker quando è in abiti civili: bandana in testa, giubbotto e barba rossa lunga e curata. Viene dagli Stati Uniti, dal Texas. “Ospedali che saltavano in aria, persone stuprate, bambini rapiti. Avevo la nausea di quello che stavano facendo i russi. Ho intravisto un’opportunità per fare qualcosa e sono qui ormai da due anni. Se vedi queste cose e permetti che accadano senza intervenire, sei colpevole tanto chi li compie”. Lorax invece è del Missouri, ha un negozio di armi ed è sempre in palestra quando non va in missione. Al momento ha due persone che lavorano per lui e gestiscono i suoi affari. Non sa se tornerà indietro quando finirà tutto. “Mi piace l’ucraina e mi piace la sua gente”.
La vita sospesa per la guerra
Ognuno di loro ha lasciato una vita precedente, sospesa, in attesa del loro ritorno. “Quando sono partito ho detto alla mia famiglia che sarei andato in Belgio per motivi di lavoro. Oggi i miei parenti sanno che sono in Ucraina, ma pensano che mi occupi di aiuti umanitari. L’unica persona che sa parzialmente la verità è mia madre: le ho detto che faccio l’istruttore ad Ovest”.
Sicily e i suoi uomini fanno a turno per coprire una posizione droni in mezzi ai boschi della foresta di Kreminna. In alcuni punti sono così vicini che li sentono a volte parlare, i russi. Dipende dalla direzione del vento. Uccidono lanciandogli contro droni Fpv. Lorax racconta che non riuscirà mai a scordare un soldato russo che moriva lentamente mentre lo osservava con il suo drone. “È il nemico, se non lo uccidiamo noi ci uccide, ma è sempre un uomo”.
Sicily dice che è sempre stato ossessionato dal diventare un soldato, ma per dei problemi fisici non è mai stato preso, sia in quello italiano che nella Legione francese e l’Ucraina, per molti, diventa un luogo di riscatto dove rimettersi alla prova. Qui Sicily è diventato un sergente e ha la responsabilità di sette uomini che confidano in lui e nella sua metodica pignoleria nel definire piani e organizzazione, reperire mezzi, munizioni, esplosivo. “Ho incubi? No. Parlando di disturbo da stress post-traumatico, posso dire che qui non l’ho ancora avuto. Dopo la mia prima esperienza di combattimento in Siria, sono stato da uno psicoterapeuta per circa otto mesi. Anche qui, quando possibile, faccio sedute online con uno psicologo. Attraverso la terapia sto capendo anche che non posso avere il controllo su tutto quello che mi circonda. Ma se vado in crisi io, va in crisi il gruppo. E ho le loro vite nelle mie mani”.
L’esperienza più dura che ha vissuto Sicily è stata a Bakhmut. Un’operazione di ‘ripulitura’ di un centro commerciale dai soldati russi. “L’assalto fu molto veloce. All’interno del centro commerciale c’era questo forte odore di carne marcia. È l’odore dei cadaveri. Ci dividemmo in cinque gruppi. Poco dopo ci è crollato addosso il soffitto. Siamo entrati in venticinque e usciti in cinque”.
Fonte : Today