La misura, annunciata dal Commissario del Lavoro H. K. K. Jayasundara, prevede una paga quotidiana di 1750 rupie, con un incremento del 70%. Una categoria precaria di lavoratori, piegati dalla crisi economica e dagli alti tassi di interesse. “Non riusciamo a fare tre pasti al giorno”, dicono due lavoratrici di Hatton. I datori di lavoro: cifra non sostenibile.
Colombo (AsiaNews) – Il lavoro nelle piantagioni di tè nelle colline centrali dello Sri Lanka si conferma un’attività remunerativa tra le più precarie del Paese, svolta spesso in contesti di alta pressione e in ambienti poco sicuri, tra condizioni meteorologiche imprevedibili e terreni mutevoli. Il 20 aprile, il Commissario del Lavoro H. K. K. Jayasundara ha annunciato l’aumento del salario minimo giornaliero del 70% per questa categoria di lavoratori, stabilendo la paga a 1750 rupie (poco più di 5 euro). La misura, volta a sopperire agli alti tassi di interesse dei prestiti ottenuti per pagare le rette scolastiche e i generi alimentari essenziali, reputata eccessiva, ha incontrato l’opposizione della Regional Plantation Companies (RPCs) e dei datori di lavoro.
L’aumento del salario è una richiesta inoltrata da anni dai lavoratori delle piantagioni al governo. Fino ad ora i salari mensili non sono stati infatti sufficienti per far fronte all’attuale alto costo della vita, conseguenza della crisi economica in cui versa lo Sri Lanka. Per queso motivo i lavoratori hanno ottenuto prestiti a tassi di interesse elevati e, a causa della crisi in corso, non sono in grado di saldare i debiti. Nonostante le costanti richieste, ci sono voluti quasi 15 anni affinché il governo attuasse l’aumento salariale di 1000 rupie. Seppur con ritardo, si tratta di un tentativo di aiuto ai lavoratori delle piantagioni, che ogni giorno svolgono la loro attività, a volte con l’aggiunta di ore supplementari, cogliendo supplementari chili di foglie di tè per guadagnare un reddito extra. Se lavorano per una retribuzione giornaliera, devono raccogliere 22 chili di foglie di tè. Ora, a causa dei forti venti e delle piogge che interessano le colline centrali dell’isola, la raccolta è fortemente ostacolata. Pertanto, sono costretti a lavorare anche 4-5 mesi per guadagnarsi da vivere.
Secondo l’annuncio, formalizzato nella Gazzetta n. 2382/04 emessa dal Commissario del Lavoro, le aziende dovranno pagare 1350 rupie come salario giornaliero, 350 rupie come indennità speciale giornaliera e 80 rupie per ogni chilo in più raccolto. Secondo una dichiarazione rilasciata dalla Planters Association of Ceylon – maggiore organo di rappresentanza dell’industria delle piantagioni del Paese – la notifica della Gazzetta afferma che il governo “intende” determinare il pagamento minimo per rispettare i lavoratori impegnati nella coltivazione e nella produzione del tè. L’avviso indica inoltre che le obiezioni alla proposta potevano essere inoltrate entro il 15 maggio. L’Associazione ha quindi deciso di presentare obiezioni alle proposte entro i termini stabiliti. T. M. Sandaruwan, della Tea Smallholders Association, ha infatti rivelato gli ostacoli che incontra l’attuazione della nuova misura: “Colpiti dalla politica miope dei fertilizzanti inorganici attuata in modo casuale durante il precedente regime, i costi di produzione hanno superato i nostri profitti”. Evidenziando il costo medio di un chilo di tè, che ammonta a 230 rupie. “Il costo dei fertilizzanti, dei salari e delle altre spese, compresi gli oneri amministrativi, ammonta a circa 280-300 al giorno. Si tratta di una cifra superiore all’utile. Quindi, come possiamo aumentare i salari? È impossibile”.
D’altro canto, Lechchamee Murugesu, 42 anni, e Dhanalakshmi Kandasamy, 45, lavoratrici nelle piantagioni di Hatton, hanno parlato ad Asia News della loro situazione. “Nella maggior parte delle famiglie, le donne sono le uniche a procurarsi il pane”, dicono. Oltre a questa attività si occupano dei figli e dei genitori anziani che vivono nella stessa abitazione. “Poiché i nostri mariti sono lavoratori a contratto e hanno perso il lavoro per la crisi economica. A causa delle attuali condizioni economiche, i salari non sono sufficienti, poiché tutti dipendono dai nostri guadagni, e non riusciamo a fare tre pasti al giorno”. Un solo salario giornaliero di 1000 rupie non è infatti sufficiente per coprire il fabbisogno di un mese. “A volte, quando i nostri genitori sono malati, siamo costretti a portarli in risciò in città per ricevere cure mediche, che costano almeno 3000 rupie per un solo viaggio”, aggiungono le lavoratrici.
Fonte : Asia