Standing ovation ai festival del cinema, la scienza non esatta

In questi giorni stanno facendo il giro del web le immagini di Kevin Costner visibilmente commosso, al festival di Cannes 2024, per via della ricezione del pubblico in sala per il suo nuovo film auto-finanziato Horizon: gli spettatori gli hanno concesso una standing ovation di 7 minuti. Non altrettanto bene è andato per The Shrouds di David Cronenberg, pur apprezzato dalla critica, che si è fermato a soli 3 minuti e mezzo di ovazione. La commedia apocalittica diretta da Cate Blanchett Rumours si è presa 4 minuti di standing ovation, quasi 11 minuti sono durati invece gli applausi per The Substance con Demi Moore e Margaret Qualley. 9 minuti sono stati misurati per la standing ovation di Emilia Pérez con Selena Gomez, 6 per Nicolas Cage che mangia animali improbabili in The Surfer, 7 per il controverso ritorno del gigante Francis Ford Coppola con il suo Megalopolis. C’è un particolare feticismo di certo giornalismo cinematografico nei confronti delle reazioni del pubblico alle première dei principali festival: ma sono davvero così importanti?

In sala avevamo contato sei minuti e mezzo di standing ovation ma nel tempo in cui sono tornato a Los Angeles erano cresciuti fino a 20”, ha dichiarato Steven Spielberg commentando come i media avessero in fondo “gonfiato” il suo apprezzamento al debutto proprio al festival di Cannes nel 1982, con un certo film intitolato E.t.: L’extraterrestre. A citarlo è l’Hollywood Reporter che ha dedicato un articolo a questo tema, sottolineando come spesso la durata degli applausi e dell’alzata in piedi sia utilizzata come strumento di marketing da parte dei distributori e degli uffici stampa, ma anche come talvolta si incappi in esagerazioni e numeri più o meno volutamente “gonfiati”. A oggi, oltre all’exploit di Spielberg, si ricordano per esempio ovazioni altrettanto record per Fahrenheit 9/11 di Michael Moore (20 minuti a Cannes 2004), e Il labirinto del fauno di Guillermo del Toro (22 minuti a Cannes 2006).

Il magazine americano sottolinea come la misurazione della standing ovation non sia comunque una scienza esatta: da che momento si fa partire il cronometro, dai titoli di coda o dall’accensione delle luci? Come ci si regola poi quando sono gli stessi attori o registi a incitare la folla a prolungare l’entusiasmo? Molti esperti poi sono scettici nel ridurre la riuscita di un film a un mero dato numerico spesso influenzato da fattori esterni: la composizione della sala (invitati o amici della produzione, celebrità simpatizzanti, pubblico non specialista ecc.), le vicende personali del tale regista o protagonista, il clima più generale del festival stesso e così via. David Kajganich, sceneggiatore e produttore di Bones and All di Guadagnino, aveva detto sempre all’Hollywood Reporter: “Spesso riguarda più le persone coinvolte che il film stesso”. Eppure si continuano a contare minuti e secondi e attribuire così gerarchie di qualità, solo talvolta confermate però dagli effetti premi festivalieri o dagli esiti al botteghino.

Sta di fatto che le standing ovation e i relativi conteggi sono un rituale di appuntamenti come il festival di Cannes. Ci sono spettatori che rimangono fino all’ultimo secondo in attesa spasmodica per capire quanto durerà l’acclamazione. Di sicuro per tutti coloro che in prima persona sono coinvolti nel film in oggetto, il momento è dei più emozionanti. E dei più facilmente notiziabili. Non tutti però vogliono considerarlo un parametro universalmente attendibile.

Fonte : Wired