Taiwan ha un nuovo presidente che non piace alla Cina

Pechino non ha digerito la partecipazione di 51 delegazioni per un totale di oltre 500 dignitari stranieri alla cerimonia di insediamento del nuovo presidente taiwanese William Lai Ching-te e della sua vicepresidente Hsiao Bi-Khim, ex ambasciatrice di Taiwan in America. Il passaggio di consegne si è verificato il 20 maggio (giorno in cui, nel 1949, fu imposta dal Guomindang la legge marziale e poi revocata quasi quattro decenni dopo), come previsto dopo le elezioni presidenziali dello scorso 13 gennaio, che ha visto la presidente uscente Tsai Ing-wen cedere il timone del governo dell’isola a Lai. 

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Davanti a Lai e al Partito democratico si prospettano altri quattro di governo (dopo gli otto anni sotto la guida di Tsai), e la gestione dei difficili rapporti con Pechino: l’ex presidente Tsai, durante i suoi due mandati, si è rifiutata di riconoscere il ‘Consenso del 1992’ e ‘il principio della Unica Cina’. Lai, comunque, ha avuto toni assertivi nel suo discorso, evitando però di reclamare l’indipendenza formale. Taiwan e Cina dovrebbero lavorare insieme “per la pace e la stabilità” nello Stretto di Taiwan: è uno dei passaggi del discorso inaugurale di Lai.

tsai lai lapresse

“La gente di Taiwan e della Repubblica popolare non sono subordinate tra loro”, ha aggiunto il neopresidente, chiedendo alla Cina di smettere “di minacciare politicamente” l’isola, in quella che è la richiesta più diretta avanzata a Pechino a cui chiede di cessare le sue azioni aggressive. “Finché la Cina si rifiuta di rinunciare all’uso della forza contro Taiwan, tutti noi a Taiwan dovremmo accettare l’esistenza delle minacce della Cina di annettere Taiwan che non scompariranno semplicemente”. Di fronte “alle numerose minacce e tentativi di infiltrazione dobbiamo dimostrare la determinazione nel difendere la nostra nazione e dobbiamo anche aumentare la nostra consapevolezza in materia di difesa e rafforzare il nostro quadro giuridico per la sicurezza nazionale”. 

Nel sottolineare le differenze tra Repubblica di Cina (il nome ufficiale di Taiwan) e Repubblica popolare cinese, Lai ha ribadito la necessità al “mantenimento dello status quo”, ovvero niente unificazione con la Cina continentale e niente indipendenza formale. “C’è già una sovranità indipendente”: non c’è quindi alcuna necessità a dichiarare l’indipendenza, che è la linea rossa invalicabile di Pechino. Poi l’appello alla Cina per aprire a un dialogo tra i due governi. La carta da giocare potrebbe essere quella di fare accordi su turismo e ricerca.

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Non è mancato il ringraziamento alla popolazione di Taiwan per aver resistito all’influenza di “forze esterne”. “Voglio anche ringraziare i miei concittadini per aver rifiutato di lasciarsi influenzare da forze esterne e per aver difeso risolutamente la democrazia”, ha affermato, aggiungendo – citando per oltre 31 volte la parola ‘democrazia’ – che “l’era gloriosa della democrazia taiwanese è arrivata”. “Il futuro della Repubblica di Cina sarà deciso dai suoi 23 milioni di abitanti”, ha detto Lai, riferendosi non solo alla sicurezza geopolitica ma anche all’importanza di Taiwan come una delle economie più avanzate del mondo e primo fornitore globale di semiconduttori. 

La furia della Cina

Non si è fatta attendere la furia della Cina. Dalla bocca del portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, Pechino ha lanciato un chiaro monito. “L’indipendenza di Taiwan è un vicolo cieco: non importa sotto quale forma o bandiera, il perseguimento dell’indipendenza e della secessione di Taiwan è destinato a fallire”. Lai è sempre è stato descritto da Pechino come un “pericoloso separatista” per le sue passate dichiarazioni a favore dell’indipendenza di Taiwan, anche se nel suo discorso emerge maggiore bilanciamento.

Le parole pronunciate da Lai hanno scaldato gli animi a Pechino. E la prima vera ritorsione è stata quella del social network cinese Weibo, equivalente alla piattaforma X, che ha subito bloccato gli hashtag riferiti alla cerimonia di giuramento. Prima dell’insediamento di Lai, la Cina ha annunciato di aver sanzionato tre società della difesa degli Stati Uniti d’America per la loro vendita di armi a Taiwan. Alle aziende americane General Atomics Aeronautical Systems, General Dynamics Land Systems e Boeing Defence, Space & Security “è vietato svolgere attività di importazione ed esportazione” in Cina, tra le altre sanzioni, hanno riferito i media statali di Pechino, citando il ministero del Commercio.

Azioni che non fanno altro che allontanare il popolo taiwanese dalla Cina guidata da Xi Jinping: l’opinione pubblica di Taiwan si è allontanata dalla Cina e meno del 10 per cento ora sostiene un’unificazione immediata o finale, e meno del 3 per cento si identifica più come cinese, mentre oltre l’86 per cento dei taiwanesi vuole lo status quo. Nelle 60 delegazioni circa della cerimonia inaugurale di Taipei, tra cui la dozzina di Paesi con cui l’isola ha relazioni ufficiali, c’erano anche quelle (non ufficiali) di Usa, Canada, Giappone, Gran Bretagna, Australia, Francia e Italia a segnalare che l’isola ha rapporti solidi con l’estero.

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Il segretario di Stato Antony Blinken si è congratulato con Lai, impaziente di approfondire i legami e “la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan”. E per questo, la Cina ha rivolto “severe rimostranze” agli Stati Uniti. Mentre Mosca, in nome dell’amicizia “eterna”  tra il leader Xi e il presidente russo Putin appena celebrata a Pechino, ha accusato Washington e “i suoi satelliti” di continuare “ad aggravare la situazione nello Stretto” e a ostacolare “l’unificazione pacifica della Cina”, secondo la portavoce della diplomazia russa, Maria Zakharova. Per Lai e Hsiao iniziano quattro anni complicati: dovranno fare i conti con la crescente pressione militare cinese e un parlamento ostile.

Fonte : Today