Mothers’ Instinct, Recensione: suspense e maternità in un mix che angoscia

Che cosa accade quando il dramma di una vita distrutta prematuramente si scontra con l’esistenza, apparentemente perfetta, di una famiglia che ha lottato tanto per raggiungere gli attuali equilibri? Qual è il prezzo da pagare, per la mente umana, nel confrontarsi con uno o più traumi profondamente radicati nella psiche, senza una valida spiegazione logica? Fino a che punto può spingersi l’intelletto e l’animo di una persona che, improvvisamente, si trova a dover rinunciare per sempre all’unica strada verso un desiderio che potrebbe risultare ora impossibile da realizzare nuovamente? Queste sono solo alcune delle domande su cui si basa l’esperienza cinematografica di Mothers’ Instinct, film diretto da Benoît Delhomme (remake del film Doppio sospetto di Oliver Masset-Depasse, uscito nel 2018), con Jessica Chastain, Anne Hathaway, Josh Charles e Anders Danielsen, disponibile nei cinema italiani dal 9 maggio 2024 (se amanti del genere thriller vi rimandiamo alla nostra recensione di Ripley).

Nel costruire il dolore materno più grande che si possa immaginare, e nel conflitto fra il ruolo di genitore e la perdita in questo senso, Mothers’ Instinct sceglie di sublimare la propria narrazione adagiandosi sulla quiete apparentemente perfetta ed equilibrata della periferia più borghese e americana ipotizzabile. Fra le villette in legno e i giardini curati giornalmente dei primi anni ’60, la tranquillità quotidiana diventa qualcosa di lontano e sfocato, distante anni luce da qualsiasi stereotipo di forma, qui trasformato in sospetto puramente hitchcockiano, in tormento interiore nei confronti del proprio mondo abituale, degli affetti e verso sé stessi.

L’istinto segreto e celato di due madri

Alice e Celine (interpretate rispettivamente da Jessica Chastain e Anne Hathaway) sono due vicine di casa nella tranquilla periferia americana. Il loro legame nel tempo è diventato una vera e propria amicizia e frequentazione di coppia, proiettata anche sui figli Max e Theodore. Questi ultimi giocano spesso insieme, godendosi la spensieratezza di una vita borghese e agiata, finché un terribile incidente non porterà via la vita al primo.

Da questo evento traumatico, un dolore insostenibile prenderà il sopravvento sull’intero quadro, generando risposte e reazioni del tutto diverse, su ambo i lati, e un’oscurità dal peso apparentemente insondabile che muterà per sempre i rapporti reciproci apparecchiando quello che vedremo in Mothers’ Instinct. Quando tutto si fa nero, però, Celine (Hathaway) cercherà proprio in Theodore, ex-migliore amico del figlio, uno spiraglio di equilibrio, sviluppando nei suoi confronti una sorta di fissazione morbosa che insospettirà gradualmente Alice. Giocando continuamente con le insicurezze e imperfezioni profonde di ogni singolo protagonista in gioco, Mothers’ Instinct costruisce una narrazione fatta di paranoie, ossessioni, disattenzioni, dettagli e maniacalità. Queste partono da un contesto sociale apparentemente perfetto e notoriamente “giusto”, e celano nel profondo il dolore e le imperfezioni di un’umanità crudele e sofferente che scalpita sotto la superficie (un ragionamento simile lo abbiamo trovato anche nella nostra recensione di Estranei).

L’assillante e continuativo dubbio hitchcockiano

Tutta la fascinazione di Mothers’ Instinct si sviluppa proprio mettendo a confronto e in perfetto contrasto il contesto in cui la storia si sviluppa, e quello che le due protagoniste principali celano in profondità. Quando il dolore di una perdita importante arriva, pure nella quiete della provincia americana, è impossibile farci i conti senza mettere in dubbio tutto ciò che ci circonda e le persone che conosciamo da una vita.

La pellicola cattura proprio grazie all’ambiguità generale che si forma gradualmente dopo quanto accaduto, legandosi a fuoco alle imperfezioni, al dolore e soprattutto alle insicurezze personali sia di Alice che di Celine. Nello scegliere di aprire il proprio sguardo su un contesto senza macchie o problemi, è proprio nell’impatto che ne inverte tutti i punti fermi che il racconto trova la propria strada, insinuando una serie di dubbi che tormentano la visione dall’inizio alla fine.

Ecco che il dolore di una perdita incolmabile diventa in Mothers’ Instinct prima qualcosa con cui empatizzare, e in seguito qualcosa di apparentemente impossibile da decifrare, specialmente se il punto di vista di tutta la storia è continuamente affidato al personaggio di Alice, a quell’amica che vorrebbe fare qualcosa, lasciando allo stesso tempo spazio e tempo al dolore di Celine. Il suo sguardo attraverso la finestra, la sua analisi distante di una situazione in realtà vicinissima alla propria vita di tutti i giorni, esclude tutti gli spettatori dall’azione in corso, relegando l’intera narrazione del film alla sua interpretazione di una realtà continuamente traslata da quegli occhi che indagano senza mai entrare nell’intimo. In questo specifico processo narrativo di inclusione e distante esclusione, ritroviamo sicuramente alcune impronte del piglio narrativo che ha contraddistinto alcuni dei lavori più famosi di Alfred Hitchcock, lavorando su una realtà facilmente riconoscibile, ma in una situazione sopra le righe e potenzialmente pericolosa.

Il ribaltamento della vita borghese americana e l’inserimento di uno o più elementi, anche terrificanti e sanguinari, rappresentano il grande gioco dei ruoli e del dolore alla base di Mothers’ Instinct, riuscendo facilmente a insinuare lo stesso timore che tormenta Alice pure negli spettatori in sala, impegnati a capire ciò che sta accadendo. Qual è la realtà effettiva delle cose? Il dolore potrebbe spingere sul serio una persona fino a questo punto? C’è una connessione fra quello che stiamo vedendo e gli eventi drammatici successivi?

Originandosi proprio da quel particolare e profondamente insondabile istinto materno che contraddistingue gli esseri umani a contatto coi propri figli, Mothers’ Instinct plasma un’esperienza per immagini che lascia il segno sia grazie alla sua generale plausibilità, che per via delle interpretazioni delle sue protagoniste femminili. Jessica Chastain e Anne Hathaway riescono a trasmettere perfettamente le sensazioni provate dai loro personaggi e quei tormenti difficili da comprendere in toto. In questo insieme narrativo fatto di istanti complessi e sfaccettati, con alcuni momenti in cui l’impostazione fittizia della pellicola si fa sentire, troviamo una lettura della stessa indole umana che va oltre le cose materiali e sociali, approdando nel profondo di un’esperienza filmica amarissima che riesce sicuramente a tenere col fiato sospeso.

Fonte : Everyeye