Le previsioni erano di pioggia e maltempo ma, come duemila anni fa gli eroi che attraversarono questo mare si affidavano alla benevolenza delle divinità, così hanno fatto anche i partecipanti al corteo no ponte. Una tregua precisa al millimetro, sarà stata davvero una protezione dei numi dello Stretto: per tutta la mattina non è caduta una goccia mentre la lunga sfilata ha percorso i circa tre chilometri dal raduno in piazza Valsesia al lungomare di Cannitello.
Le forze dell’ordine stimano circa mille persone, a dare l’adesione erano stati oltre cinquemila e probabilmente la verità sta nel mezzo. Più dei numeri conta lo spirito che ha aggregato una comunità trasversale per età, appartenenza geografica, residenza – uno scenario d’altri tempi, in tutti i sensi perché fianco a fianco ci sono stati militanti canuti che contro il ponte di Messina protestavano dieci anni fa e sono tornati in strada brandendo cartelli e bandiere, e i giovani del ricambio generazionale, quelli che stanno hanno preso il loro posto nelle sedi di associazioni, movimenti e partiti.
Sì, la politica è presente e ben identificabile, impossibile negarlo. Un’arma a doppio taglio, perché è facile etichettare una porzione di manifestanti con i soliti fricchettoni e loro non fanno nulla per nascondere la kefiah, le treccine rasta, qualche maglietta del Che affiorata tra quelle degli slogan no ponte. Ma in corteo non ci sono soltanto le tante anime della sinistra (a proposito, un piccolo miracolo vedere sventolare vicine bandiere di sigle sempre sull’orlo della baruffa), i sindacalisti che intrufolano qualche campagna sui grandi temi del lavoro o la solidale visita dei big politici (Bonelli di Avs con il suo candidato Mimmo Lucano, l’ex sindaco del modello Riace, Ruotolo del Pd, Orrico e Tridico del M5S) che comunque, al di là di ogni malizia elettorale, hanno scarpinato in mezzo alla gente. Soprattutto ci sono i cittadini delle terre dello Stretto, i reggini padroni di casa e i messinesi ospiti, che per l’ennesima volta si sono imbarcati (puntualissimi, stavolta non c’è stato neanche un piccolo disagio da strumentalizzare) per dimostrare che questo brevissimo tratto di mare vogliono continuare a solcarlo come fecero gli antichi greci, e quel maxiponte non serve.
La protesta gioiosa di cittadini e associazioni, gli slogan e i cantastorie
Cittadinanza attiva e senso di comunità, avvertito da grandi e piccoli. C’è voglia di appartenenza, di ritrovare un ideale per cui lottare in un’epoca abulica e rassegnata. I bambini che sfilano accanto ai genitori (i più piccoli, gli altri sono a scuola ma si affacciano al passaggio del corteo, espongono cartelli e agitano bandierine) della questione ne sanno poco ma il clima è contagioso e come nelle fiabe si capisce che c’è un cattivo o forse solo uno che non ha capito niente, perché gli adulti gli hanno messo le orecchie d’asino. “Caro Matteo, il ponte lo vogliamo solo a scuola”, si legge sui cartelli mostrati da tre fratellini; mentre altri compagni di corteo con addosso molti decenni di primavere più di loro al ministro dedicano una stroncatura: chi vive a queste latitudini sa che non è solo un duro giudizio ma anche una buonissima pasta artigianale della piana di Gioia Tauro, e stavolta la testimonial è una massaia calabrese armata di mattarello, tanto per far capire che non si scherza.
Nel dialetto reggino la “stortia” identifica un brutto morbo e pure incurabile e infatti si chiama così lo spaventoso gigante barbuto che al ritmo di tamburi e chitarra battente balla una tarantella pervasa di saggezza popolare nei versi di un irriverente cantastorie: “U ponti di Messina è ‘na grande porcaria”. Un altro cartello sulla schiena di un’attivista non le manda a dire e suggerisce l’ideale collocazione dei piloni del ponte. In rima con i nomi di Salvini e Berlusconi: con uno sforzo di fantasia ci si arriva anche senza scriverlo.
C’è, palpabile, un clima gioioso e di festa, esatto specchio della distruzione che questi manifestanti considerano l’unico prevedibile effetto del ponte. Satira per esorcizzare la paura delle ruspe, musica reggae un po’ demodé e canzoni recitate a memoria da ex sessantottini dai occhi sempre accesi, mantelli arcobaleno che avvolgono la schiena di un pensionato puntellato dal bastone o coprono le gambe di manifestanti in carrozzina. Si ride, ci si abbraccia, qualcuno si rivede dopo anni e chilometri di distanza e nel frattempo non sono cambiate le idee né la voglia di difenderle. La piazza dei no ponte è inclusiva e accoglie gli striscioni lgbtqia+, le bandiere per la pace e gli striscioni di denuncia del genocidio palestinese.
Emozione e rabbia davanti all’ecomostro di Cannitello, dove iniziano le case da espropriare
“Ci vogliono espropriare, ci vogliono cacciare ma non lasceremo mai il nostro mare”, scandiscono al megafono gli attivisti alla testa del corteo invitando a un mantra che si propaga per l’intera lunghezza del gruppo. E quando la folla scende verso Cannitello con le sue case e ristoranti letteralmente cancellati nel piano particellare dei cantieri, prevale un’emozione venata di rabbia: cancelli e balconi espongono appelli contro gli espropri e il colore dominante ora è il blu, come il mare tranquillo dall’altro lato della strada. “Questo è l’aperitivo del ponte”, spiegano davanti all’ecomostro della variante ferroviaria, una bocca scura che sovrasta l’orizzonte dello Stretto. “Avevano detto che lo avrebbero mascherato, invece questa schifezza è qui da più di dieci anni”. Applausi, fischi, gente che si affaccia per veder passare il variegato serpentone in movimento come in una processione. Avrebbero potuto essere di più i lenzuoli con il motto no ponte, e c’è l’impressione che gli intralci alla società Stretto di Messina abbia fatto un po’ rilassare la protesta. Ma è già successo, e nel movimento c’è consapevolezza che quella maxiopera potrebbe sonnecchiare e poi risvegliarsi. Per questo la rete si riunirà già all’inizio della prossima settimana per discutere delle iniziative di lotta: lo stato dell’opera degli esposti giudiziari (da Villa arriva la notizia di un altro che Angelo Bonelli presenterà alla procura europea sull’uso improprio dei fondi Ue), una class action, le osservazioni da presentare al Mit e la sospensione della conferenza di servizi chiesta dal comune di Villa San Giovanni e le città metropolitane di Reggio e Messina.
I 120 giorni di proroga chiesti dalla società di Ciucci hanno salvato l’estate degli espropriandi e dello Stretto, e c’è tempo per riorganizzare la lotta. Quella x sulle case è sbiadita, se fosse ancora rovente il sostegno da finestre e balconi sarebbe stato più incisivo? Per la sindaca villese Giusy Caminiti e la presidente del comitato Titengostretto Rossella Bulsei, il bilancio è soddisfacente. “Non ce lo aspettavamo – dice Bulsei – sono tutte persone che amano la città e vogliono difenderla dalla devastazione”. Ma anche tanti nostalgici guidati dal desiderio di rivivere, attorno alla battaglia no ponte, un sogno di passione civica, genitori che trascinano i figli più che il contrario. Ecco perché la sfida è coinvolgere i più giovani.
In uno dei bar sotto la scure degli espropri un gruppo di amici racconta memorabili mobilitazioni vissute trent’anni fa, al bancone c’è un ragazzo poco più che maggiorenne concentrato sul suo presente – caricare la macchinetta, servire caffé. Un uomo con cappellino no ponte e sandali ai piedi dichiara con orgoglio: “Sul traghetto eravamo in 300 e poi ci sono quelli degli aliscafi, dalla Sicilia abbiamo dato un’ottima adesione”. Una giovane coppia della provincia di Messina si dirige verso gli imbarchi per rientrare: “Vorremmo fare di più – confida lei – ma dobbiamo lavorare, poi partecipare a tutti gli eventi per noi è costoso. Per la gente in pensione e con tanto tempo libero è semplice”. Ad ascoltare i comizi nella piazza di Cannitello restano attivisti e militanti di sindacato e politica.
Nella gelateria Boccaccio, ultimo baluardo della storica attività di ristorazione che dovrà chiudere i battenti con l’avvio degli espropri, c’è un pienone da clou estivo. I pescatori non fanno una piega e continuano a presidiare le loro lenze, insensibili al frastuono della sfilata come se fossero soli, persi nella loro simbiosi con lo Stretto. Alla fine, passate le 13, piove, ma l’importante è essere arrivati insieme fino a qui.
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Fonte : Today