L’Italia dice no alla dichiarazione Ue sui diritti Lgbt: “Come il ddl Zan”

Il governo italiano non ha sottoscritto la dichiarazione per la promozione delle politiche europee a favore delle comunità Lgbtiq presentata dalla presidenza di turno belga del Consiglio Ue. La conferma è arrivata dalla stessa presidenza belga, che in un comunicato ha spiegato che a firmare il documento sono stati 18 Paesi membri su 27. All’appello mancano, oltre all’Italia, anche Ungheria, Romania, Bulgaria, Croazia, Lituania, Lettonia, Repubblica Ceca e Slovacchia.

Il no dell’Italia

La dichiarazione era stata preparata in occasione della Giornata mondiale contro l’Omofobia, la transfobia e la bifobia, anche alla luce di un recente sondaggio dell’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Ue (Fra), in cui si denuncia l’aumento delle violenze e delle discriminazione nei confronti delle comunità Lgbtiq in tutta Europa. 

Nel documento, i firmatari si impegnano a garantire e proteggere i diritti delle persone Lgbtiq, attuando apposite strategie nazionali e sostenendo la nomina di un nuovo commissario Ue per l’Uguaglianza quando sarà formata la prossima Commissione. Invitano inoltre la Commissione a perseguire e attuare una nuova strategia per migliorare i diritti delle persone Lgbtiq durante la prossima legislatura, stanziando risorse sufficienti e collaborando con la società civile.

L’Italia, stando a quanto dichiarato da fonti del ministero della Famiglia all’agenzia Ansa, non ha aderito “insieme a un terzo degli Stati membri” perché “era in realtà sbilanciata sull’identità di genere, quindi fondamentalmente il contenuto della legge Zan”. Le stesse fonti hanno sottolineato che il governo ha invece sottoscritto il 7 maggio un’altra dichiarazione europea contro omofobia, transfobia e bifobia (quella del Servizio di azione esterna dell’Ue) “perché era relativa alla non discriminazione rispetto all’orientamento sessuale” e non si citava, evidentemente, la questione dell’identità di genere. 

Cosa dice la dichiarazione

In realtà, nel documento di 4 pagine, c’è solo un breve passaggio in cui il termine incriminato compare: i Paesi firmatari riaffermano “il loro impegno a promuovere l’uguaglianza e a prevenire e combattere le discriminazioni, in particolare sulla base dell’identità di genere, dell’espressione di genere, delle caratteristiche sessuali e dell’orientamento sessuale”. Parlare di sbilanciamento sembra eccessivo, ma a pesare è senza dubbio il fatto che intorno alla questione del genere era stata imperniata la campagna anti ddl Zan dei partiti di centrodestra.

Forse, il no dell’Italia e degli altri 8 Paesi Ue si può spiegare anche per la presenza di due passaggi: quello in cui si inviata a riconoscere uno status legale alle coppie dello stesso sesso (non si cita, però, il matrimonio), e quello in cui si chiede alla Commissione di “garantire la piena libertà di movimento per tutte le persone Lgbtiq e le loro famiglie”. Questo secondo passaggio fa riferimento alla proposta della Commissione guidata da Ursula von der Leyen in cui si chiede agli Stati membri di dare seguito a una serie di sentenze della Corte Ue e garantire il riconoscimento della genitorialità acquisita in un altro Paese Ue, incluso il riconoscimento per i “genitori dello stesso sesso”. Il governo di Giorgia Meloni si è schierato contro questa proposta sostenendo che aprirebbe la porta al riconoscimento della maternità surrogata.

Fonte : Today