Bridgerton piace o non piace. Ma se piace, è un piacere quasi estatico. I fan che si sono appassionati alla serie di Shondaland, la cui terza stagione debutta con la sua prima parte il 16 giugno su Netflix, vivono in una specie di sogno immarcescibile: la Londra Regency, le crinoline, ma soprattutto gli amori, gli intrighi, i pettegolezzi e quel pizzico di modernizzazione emancipata, di liberazione un po’ sexy e un po’ ucronica. La formula – già collaudata nei romanzi di Julia Quinn – è perfetta, quasi letale. E lo si conferma anche in questo nuovo ciclo di episodi che, in fondo, sono sempre uguali a loro stessi e anche un po’ diversi. Ovviamente cambiano i protagonisti principali, o meglio il focus narrativo della stagione, che questa volta illumina – quasi letteralmente (in inglese si direbbe glow up) – la coppia/non coppia formata da Penelope Featherington (Nicola Coughlan) e Colin (Luke Newton).
Le nuove puntate partono proprio dove ci avevano lasciato le ultime, anzi un’estate dopo: Penelope torna dal suo buen retiro in campagna ma è più sola che mai. Ha litigato con la sua migliore amica, Eloise Bridgerton (Claudia Jesse), ed è presa appunto in questa situationship con Colin, che prima di partire per i suoi viaggi l’ha umiliati con commenti stupidi e superficiali: ma proprio il ritorno di Colin, unito alla volontà di Penelope di emanciparsi dalla cappa famigliare cercandosi un marito, segnerà un cambio di passo nel loro rapporto e innescherà quel tira e molla irresistibile che li farà oscillare tra l’amicizia e l’amore, sforando in quel côté di telenovela che è un altro segreto di questa serie. Il punto di partenza sarà una strana e macchinosa alleanza tra di loro, ma sappiamo tutti come va. I nostri istinti più reconditi vogliono sapere come andrà a finire, sperando ovviamente nel lieto fine più zuccheroso.
Un altro segreto fondamentale, in questo incantesimo che Bridgerton proietta sui suoi spettatori, è tutto il contorno estetico. Lo si capisce in particolare parlando con chi si occupa in prima persona di questi aspetti. Intervistare la hair and make up artist Erika Okvist e il costume designer John Glaser permette in effetti di calarsi ulteriormente nei meccanismi ipnotici di questo fantasy period, come lo chiamano l’oro: “Il segreto è l’opulenza. Sì, l’opulenza, la serie è proprio questo: tutto è esagerato“, ci raccontano. Un’esagerazione che è in qualche modo calmierata dalla natura storica di questa produzione, anche storicamente però sui generis: “L’accuratezza storica ci interessa nella misura in cui possiamo anche non seguirla. Non siamo facendo una lezione di storia ma una fantasy, e possiamo anche proporre un mix tra moda di allora e quella di adesso. Quello che ci interessa principalmente è essere veritieri nel rappresentare questi personaggi: quel secolo in particolare non è un legaccio, ma un fondamento da cui partire“, dice Glaser.
Fonte : Wired