Contro il governo di Silvio Berlusconi, ormai più di vent’anni fa, ci furono manifestazioni in teatri e piazze coordinate e promosse dalla società civile che denunciavano come il centrodestra al governo stesse scardinando le regole democratiche. Parliamo dei cosiddetti “Girotondi”, che puntavano in particolare modo a tutelare la separazione dei poteri, a contrastare gli attacchi di Berlusconi alla magistratura e all’indipendenza dei media. Una stagione di cui saranno simbolo l’ammonizione “Resistere, resistere, resistere” di Francesco Saverio Borrelli all’inaugurazione dell’anno giudiziario milanese, e le proteste dopo “l’editto bulgaro”, con il quale il Cavaliere ordinò de facto di allontanare dalla Rai le voci sgradite.
I Girotondi, che hanno avuto tra i punti di riferimento la rivista Micromega e il suo direttore Paolo Flores d’Arcais, Nanni Moretti e Francesco Pancho Pardi, Dario Fo e Furio Colombo, proponevano una sorta di legittimismo democratico. Il ragionamento era questo: il centrodestra al governo, e soprattutto la figura di Silvio Berlusconi segnata da un pesantissimo conflitto d’interesse, stavano di fatto cambiando la democrazia. I Girotondi erano un movimento che si proponeva di difendere la costituzione, e si presentava come il partito del legittismo democratico, usurpato da Berlusconi, in compagnia di Gianfranco Fini e Umberto Bossi, che contribuivano a scassare l’assetto istituzionale il primo portando i postfascisti al potere, il secondo rappresentando gli interessi del Nord contro il Sud e mettendo in dubbio l’unità del paese.
Oggi, nel 2024, Silvio Berlusconi non ci sta più, Forza Italia è sopravvissuta al suo fondatore, e se non è più l’azionista di maggioranza della coalizione, il partito è vivo e vegeto. Ma alcune cose non sono cambiate: il centrodestra continua a mettere nel mirino la giustizia; la Rai è stata svuotata dei suoi nomi di punta perché considerati troppo di sinistra, e occupata con modalità senza precedenti; il progetto di autonomia differenziale mira a scardinare l’unità sociale del paese favorendo le regioni più ricche; il premierato immaginato da Giorgia Meloni ridimensiona il ruolo del presidente della Repubblica, disegnando un esecutivo con pochissimi contrappesi. Evidentemente è inutile poi affrontare il tema “sdoganamento del fascismo come una cosa che non era in fondo così male”.
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Perché allora non ci stanno i Girotondi? Perché la società civile è così silente? Perché il legittimismo democratico di fronte al progetto della destra destra al governo non si materializza in un fronte in difesa della Costituzione? Il tema ovviamente è complesso e non vogliamo liquidarlo con una facile battuta. Ma alcune cose possiamo dirle, a partire dalla ormai nota “Chat 25 aprile” promossa da Massimo Giannini, con una premessa necessaria: l’Italia è un paese che soffre ancora di più che della sindrome delle culle vuote, di quella delle piazze vuote, come sottolineato in un bel libro da Filippo Barbera (intitolato proprio “Le piazze vuote” e edito da Laterza), in cui si sottolinea quanto sia screditata nel nostro paese l’utilità di manifestare per cambiare le cose.
Nella chat 25 aprile, aperta nel giorno della scorsa Festa della Liberazione, il giornalista Massimo Giannini ha chiamato a raccolta altri giornalisti, scrittori, intellettuali, professori universitari, esponenti della politica, per organizzare una reazione comune e democratica al governo di Giorgia Meloni. L’impressione, leggendo la chat negli ultimi venticinque giorni, è che se questa è l’opposizione della società civile oggi, la destra destra porterà a termine il suo disegno politico senza trovare davanti a sé particolari ostacoli.
Prima di tutto: il legittimismo democratico appare sempre più svuotato di senso vent’anni e più dopo i Girotondi. E questo per una ragione fondamentale: il centrosinistra, e il Partito Democratico, hanno avuto un ruolo fondamentale nel sostenere la stagione dei governi tecnici e dell’austerità, utilizzando proprio gli argomenti del legittimismo democratico (il governo Monti si è insediato per “salvare” il paese da Berlusconi). Ma anche nel precarizzare il mercato del lavoro e nel contribuire a fare dell’Italia l’unico paese europeo dove i salari non crescono, nell’attaccare il diritto di sciopero e nel delegittimare il sindacato e chi sceglieva di protestare. E no, tutto questo non è circoscrivile alla stagione renziana.
Insomma l’allarme in difesa dei valori democratici appare sempre più svuotato di senso, da parte di élite politiche e culturali (nota bene: élite non è usato con nessuna connotazione negativa in questo contesto), che sembrano voler difendere solo il bon ton della democrazia. Una mobilitazione quella annunciata dalla chat 25 aprile che sembra irrimediabilmente voler difendere lo status quo. Ed è proprio questo il problema: il punto non è che le élite politiche e cultuali siano tali, ma nella loro incapacità di mettersi alla testa di un blocco sociale rappresentando gli interessi e la speranza di un futuro migliore e diverso per tante e tanti, oppure appelli. O la lotta contro la torsione autoritaria, contro l’orbanizzazione dell’Italia, si lega a un progetto di cambiamento sociale, oppure Giorgia Meloni potrà dormire sonni tranquilli. Serve un pizzico di conflitto sociale al paese, non le lezioncine indignate di chi ha predicato bene e razzolato male.
Giornalista pubblicista e capo area della cronaca romana di Fanpage.it. Ho collaborato prima prima di arrivare a Fanpage.it su il manifesto, MicroMega, Europa, l’Espresso, il Fatto Quotidiano. Oltre che di fatti e politica romana mi occupo di culture di destra e neofascismi. Ho scritto per i tipi di Edizione Alegre “La politica della ruspa. La Lega di Salvini e le nuove destre europee” (2015) e per Fandango Libri “Fascismo Mainstream” (2021).
Fonte : Fanpage