L’IA si trasforma in assistente personale, ma il futuro non deve essere una distopia

Her, Lei. Una sola parola, lapidaria, a commento dell’annuncio di GPT-4o, il nuovo modello di OpenAI, lanciato lo scorso lunedì in diretta da San Francisco. L’ha twittata Sam Altman, il numero uno dell’azienda statunitense.

Il riferimento è al film del 2012 di Spike Jonze. Quello, per capirci, in cui Joaquin Phoenix si innamora di un’intelligenza artificiale, interpretata con la voce da Scarlett Johansson. Una distopia, un racconto di un mondo diventato talmente atomizzato da spingere a una relazione solo apparentemente soddisfacente con un sistema automatico. Eppure, quel film, quel racconto distopico, è stato di fatto al centro della presentazione di OpenAI che, tra le altre cose, ha riguardato proprio l’evoluzione di ChatGPT in un assistente vocale in grado di parlare in modo credibile e di analizzare immagini e conversazioni in tempo reale.

Una tecnologia verso cui tutta la Silicon Valley sembra star andando. Google compresa: il giorno dopo OpenAI, anche Big G ha presentato un modello simile. Project Star, un assistente in grado di ‘vedere’ il mondo circostante e di interpretarlo in tempo reale, con la sensazione costante di star parlando a un essere umano.

Una relazione con il computer 

Accanto a questo, Google ha presentato anche le AI Overview, che potrebbero cambiare completamente Internet per come lo conosciamo. La ricerca Google, che oggi ci presenta una lista di link, presto ci offrirà, in particolare per le domande più complesse, un resoconto fornito dall’intelligenza artificiale. Un riassunto delle informazioni principali presenti sul web, un assistente (torna questa formula) in grado di cercare per noi e di offrirci risposte al posto di spunti di approfondimento. Con buona pace di chi quelle informazioni le produce, che diventano semplici fornitori di contenuti per l’intelligenza artificiale, senza ricevere nemmeno il beneficio delle visite al proprio sito.

L’analogia con Her ha funzionato come leva di marketing, soprattutto per OpenAI. Il film è riconoscibile, ha un’estetica affascinante, due grandi attori. Ma il punto che dovrebbe farci riflettere è la relazione con i dispositivi digitali. Fino a oggi, e questo vale per Google, per OpenAI, per i social network, abbiamo utilizzato le piattaforme come distributori di contenuti, informazioni o servizi. C’è stata una centralizzazione, certo: sono le piattaforme a decidere tramite i loro algoritmi cosa vediamo, quali fonti e quali contenuti.

Tuttavia, la direzione è quella di un ulteriore passo in avanti in questo processo. Non c’è più bisogno della distribuzione, se è direttamente il sistema automatico a rispondere. Se, senza mediazioni, parliamo con il web, come immagina Google. È distopica, in questo senso, la relazione con l’oggetto (parlante o meno), che annulla la distanza. Quella cosa a cui stiamo parlando sembra umana, può darci supporto, c’è sempre. Quell’intimità che, attraverso il nostro smartphone, ci conduce alla costruzione di relazioni parasociali diventa totalizzante: la relazione non è più mediata dal computer. È con il computer.

Fonte : Today