Una morte assurda, frutto di imprudenze e negligenze, secondo le accuse. Una morte che a distanza di anni continua a far discutere e su cui ora è in corso un processo con l’accusa di omicidio colposo che vede 5 persone rinviate a giudizio: la proprietaria del locale nel quale fu installato un boiler a gas, l’architetto e l’idraulico chiamati a progettare e intervenire con i lavori finiti sotto accusa, i proprietari dell’appartamento a Brescia in cui viveva l’anziano deceduto e in cui questi lavori sarebbero stati eseguiti. Sono tutti a processo come da richiesta del pm Teodoro Catananti, titolare delle indagini.
Piccioni incastrati nella cappa: muore in casa intossicato dal monossido
Andrà fatta chiarezza. I fatti in questione risalgono a 5 anni fa. La vittima, un uomo di 93 anni, venne trovato morto nel suo appartamento, al quarto piano di un condominio in città, dopo l’allarme lanciato dalla figlia, preoccupata del fatto che l’anziano genitore non rispondesse più al telefono. Il marito morto, la moglie gravissima: la donna venne trovata priva di conoscenza, svenuta a seguito di un malore: morirà in ospedale poco più di un mese più tardi. L’autopsia ha permesso di ricostruire le cause del decesso dell’anziano: ucciso dal monossido di carbonio, il killer silenzioso (e inodore) conseguenza di una perdita. Quella perdita, secondo la procura, sarebbe stata sua volta causata da una serie di lavori edili interni eseguiti tutt’altro che a regola d’arte, confluiti più in generale “in una serie di imprudenze e negligenze che, in quanto tali, erano evitabili”, scrive il Giornale di Brescia che dà la notizia del processo, celebrato in tribunale a Brescia.
I lavori in casa e le carcasse di due piccioni
Tra gli elementi che verranno portati a dibattimento c’è anche il fatto che la cappa di quella casa, che potrebbe aver contribuito nel veicolare il gas mortale nell’appartamento, fosse stata ostruita dalle carcasse di due piccioni. Tutto sarebbe nato, sempre secondo le accuse, dall’installazione di un boiler a gas in uno scantinato del condominio e dallo sfruttamento della canna fumaria condominiale, adibita allo sfogo delle cappe di tutte le cucine degli appartamenti dello stabile, per far defluire i gas della sua combustione.
Quel condotto non avrebbe avuto un andamento lineare fino al suo sfogo sul tetto: secondo la ricostruzione dell’accusa, “a causa di interventi murari in un appartamento dello stabile, subì una deviazione e cambiò radicalmente il suo andamento a causa dell’introduzione di un “gomito” che finì per compromettere la sicurezza dell’intero impianto”, si legge sul Giornale di Brescia. E proprio in quella piega, ricostruirono gli inquirenti, negli anni si era depositato materiale di diversa natura: a fare da tappo, generando un’ostruzione, sarebbero state anche le carcasse di due piccioni, così da spingere indietro il monossido di carbonio, attraverso le cappe delle cucine. Si tratterebbe di un’altra negligenza? Saranno i giudici a decidere.
Fonte : Today