Georgia, le proteste sono più complicate di quel che sembra

A partire dalla metà di aprile la Georgia (quella del Caucaso) ha conquistato le pagine dei giornali. Era già successo nell’ottobre scorso, e il motivo è lo stesso: centinaia di migliaia di persone stanno manifestando a Tbilisi, nella capitale, contro una proposta di legge per limitare l’influenza degli “agenti stranieri” sulla società civile georgiana. Se l’anno scorso il partito di governo, Sogno georgiano, aveva rinunciato al suo proposito dopo una forte reazione popolare, adesso ci sta riprovando con una grossa prova di forza, e di violenza.

Secondo le intenzioni della maggioranza, una coalizione populista, le ong e i media dovrebbero farsi registrare in un database pubblico di “trasparenza”, per rendere note le loro fonti di finanziamento. E sarebbero considerati “agenti influenzati dall’estero” se ricevessero più del 20% del loro finanziamento da un ente di un paese straniero. Se non si registrassero, sarebbero stati multati.

Secondo i manifestanti, invece, con questa iniziativa il partito di governo vuole adoperare per svilire la democrazia seguendo il modello putiniano, al quale si sarebbe ispirato, tant’è che la riforma pertanto è ribattezzata “legge russa“. Ma soprattutto la proposta sarebbe un grave ostacolo ai tentativi della Georgia di accedere all’Unione europea, che è secondo vari analisti la più delicata di tutte le questioni della politica e della cultura georgiana: qualcosa addirittura di esistenziale per questo popolo che fino a trent’anni fa era parte dell’Unione Sovietica.

Il sogno europeo

Secondo i sondaggi, il desiderio di far parte dell’Unione è condiviso da circa l’80% dei georgiani: sia per migliorare la propria economia, dopo tre decenni di impoverimento post-comunista, tragedie e traumi, sia per l’opportunità di emigrare legalmente. Nel 2021 e nel 2022 oltre il 5 percento della popolazione ha lasciato il paese. Non è del tutto chiaro perché Sogno Georgiano, seppur consapevole delle proteste che la “legge russa” avrebbe suscitato, memore delle vicende di ottobre, abbia deciso di abbandonare ogni equilibrio e di usare il pugno duro. Il fondatore del partito, il miliardario Bidzina Ivanishvili, l’uomo più ricco della Georgia, primo ministro tra il 2012 e il 2013, ha parlato di un “partito globale della guerra” interessato a promuovere una rivoluzione fasulla, sul modello di EuroMaidan in Ucraina, per destabilizzare il suo Paese e metterlo fatalmente contro la Russia.

A detta dei contestatori anti-governativi, la spiegazione è più semplice: Ivanishvili, come altri oligarchi associati a Sogno Georgiano, ha i suoi interessi finanziari in Russia e da dieci anni compare e scompare a intermittenza dal governo per tutelare all’occorrenza gli interessi di Mosca a Tbilisi. Quel che è peggio, dicono molti think tank del fronte euro-atlantico, Putin deve aver anche istruito Sogno Georgiano a trasformare la Georgia in un Paese sottomesso alla sfera d’influenza russa.

Verso l’Europa

Eppure, secondo lo scrittore freelance e storico Bryan Gigantino, statunitense residente a Tbilisi, lo scontro tra il governo, le ong, i manifestanti – sia quelli dell’opposizione formale che non – e persino alcuni all’interno dell’Unione europea, ha radici più profonde e una traiettoria tutt’altro che chiara. Dalla secessione dall’Urss nel 1991 a oggi, spiega Gigantino, la vicinanza con la Russia non ha impedito alla Georgia di seguire una traiettoria neo-liberale e una sostanziale aderenza a Washington. Dopo la “rivoluzione delle rose” il susseguirsi dei governi ha imposto riforme di mercato implacabili, nel 2005 Tbilisi ribattezzò una strada in onore del presidente statunitense George W. Bush e il divieto di alzare le tasse sulle imprese è stato iscritto in costituzione: il prezzo da pagare per è stato un enorme acutizzarsi delle disuguaglianze e delle mafie.

Fonte : Wired