Nello Cristianini, professore di intelligenza artificiale: “Forse non saremo più i primi della classe, ma resta il nostro spirito”

“Stiamo vivendo un momento storico. Non era mai successo prima che una macchina potesse capire le nostre parole, risponderci, tenere una conversazione. E c’è qualcosa di emotivo, per noi, in tutto questo…”.

La sua è una vita dedicata all’intelligenza artificiale. Una vita al confine. Tra materie diverse. Fisica, informatica, statistica, filosofia, psicologia, biologia. Tra teoria e ricerca sperimentale.  “Sei tu che stabilisci i confini, non bisogna farsi dire dagli altri qual è il confine della tua disciplina”.

Nello Cristianini, 55 anni, è professore di intelligenza artificiale a Bath, nel Regno Unito. Segnatevi questo nome, se già non lo conoscete. Ha fatto, in parte, la storia del machine learning. Dopo avere scritto due testi influenti sulla teoria statistica di quel campo, anni fa ha creato due software. Uno che leggeva Twitter su vasta scala, analizzando l’umore del Regno Unito. E un altro che leggeva centinaia di giornali europei, traducendoli. “Per questo oggi mi sento a casa”, dice alludendo alla nuova IA, quella che combina machine learning e una quantità enorme di testo.

La sua storia parte da Gorizia, città di confine, fa dei giri immensi. Tocca Londra, Bristol, la California, Boston e poi torna a Bristol, dove si ferma per 17 anni, per poi spostarsi a Bath, piccola città d’arte, gioiello dell’architettura, cresciuta attorno alle terme romane, posto di bellezza e vacanze.

Scrittore, ha pubblicato 7 libri, molti sono stati tradotti anche in giapponese, cinese, coreano. È autore di moltissimi articoli scientifici, tra il 2023 e il 2024 ha pubblicato due libri divulgativi dedicati all’intelligenza artificiale. Nel primo La Scorciatoia, ha indagato che cos’è l’intelligenza.

L’intelligenza serve a sopravvivere, non a scrivere poesia. Ed esiste sul Pianeta prima di noi. Ne vediamo segni ovunque”.  Nel secondo: Machina sapiens. L’algoritmo che ci ha rubato il segreto della conoscenza (edito dal Mulino, sarà presentato al Salone del Libro di Torino, oggi, 12 maggio alle 17:30), Cristianini parte dalla domanda posta da Alan Turing, padre dell’informatica, nel 1950: le macchine possono pensare?

“Questa domanda è stata per decenni il Sacro Graal dell’informatica. Turing diceva: se la macchina può conversare con noi senza essere riconosciuta, trattiamola come pensante. Per anni ci abbiamo provato. Invano. Nel 2023, però, con ChatGPT abbiamo superato il test di Turing. Oggi si può parlare con un computer senza poterlo distinguere da un essere umano. Il 40% di noi, secondo uno studio, non lo riconosce”.

Cristianini si laurea in fisica a Trieste a metà degli anni ’90, con una tesi sul machine learning. Master in Computational Intelligence a Londra.
“Volevo fortemente studiare l’intelligenza artificiale ma a Trieste non c’era”. Durante il Master pubblica un articolo scientifico per una conferenza prestigiosa: viene notato e chiamato per un dottorato a Bristol. “Si stava iniziando a studiare il Machine Learning statistico, ossia la teoria matematica alla base di quello che succede oggi, di come le macchine imparano”.

Al terzo anno di dottorato scrive un libro sul tema e lo pubblica con Cambridge University Press. “È stata una cosa straordinaria per uno studente”. A questo punto lo invitano a Londra come research assistant. Poi va in California per lavorare in una startup di genomica e insegna anche all’University of California. “In quattro mesi, la mia vita è completamente cambiata. Mi sono trovato a vivere a Berkeley, mia moglie aveva lasciato il lavoro, stava nascendo il nostro primo figlio. Poi è arrivato l’11 settembre. L’economia si è fermata, la startup ha chiuso”.

Lui non si ferma e trova un lavoro identico a Boston, scrive il secondo libro, diventa professore di statistica a Davis per 5 anni. Scrive un terzo libro e nasce il secondo figlio.

Nel 2006, con i bimbi piccoli, rientra in Europa. Destinazione: Bristol, cattedra di Artificial Intelligence “Nello stesso dipartimento dove molti anni prima ero studente”. Ci rimane per 17 anni, durante i quali vince un prestigioso grant della commissione europea (ERC Advanced grant), 2 milioni di finanziamenti e decide di passare dalla teoria agli studi sperimentali di grandi dimensioni. Il tema? Effetti sociali dell’intelligenza artificiale.

“Con quei fondi ho comprato tantissimi computer che abbiamo tenuto accesi per anni. Ho assunto programmatori e filosofi e abbiamo creato un programma che leggeva costantemente Twitter e centinaia di giornali disponibili online, in tutte le lingue europee. Raccoglievamo questi dati in un database. Li abbiamo usati per studiare l’opinione pubblica, leggendo emozioni come rabbia, tristezza, paura, ogni 15 minuti. Abbiamo osservato direttamente come reagiscono le persone ai grandi eventi: i mondiali di calcio, la morte della regina, le elezioni politiche, la Brexit. Abbiamo anche scoperto che c’è un rimo circadiano e uno stagionale, nelle nostre emozioni. Per esempio tutte le notti alle 3 l’ansia sale, poi tutte le mattine prima delle 9 scende. Così abbiamo lavorato con biologi, psicologi e sociologi, sconfinando felicemente e conoscendo persone straordinarie”.

I confini ricorrono continuamente nella sua vita, perché?

“Ogni singola volta che oltrepasso un confine, sento quel brivido che sentivo a Gorizia quando da piccolo passavo la frontiera. C’è molta ricchezza in questi mondi di frontiera: ci sono persone speciali, qualche contrabbandiere, gente abituata a culture diverse. I confini sono utili, anche necessari, ma non vanno presi troppo sul serio. Di là dal confine il linguaggio è diverso, ma la gente è la stessa. E quando oggi vado a una conferenza di psicologia o a una di biologia, si parla una lingua diversa, ma il resto è uguale. I valori, i principi, il modo di fare ricerca sono gli stessi. E la ricchezza che si trova in questi scambi è immensa”.

Come siamo riusciti a creare una macchina che parla?

“Gli scienziati che lavoravano sul problema della traduzione automatica hanno dovuto affrontare la questione di come si modella il linguaggio. E hanno messo a punto un algoritmo, il Trasformer. Gli hanno fatto leggere miliardi di pagine web e almeno 7000 libri. Poi hanno cancellato alcune parole a caso e chiesto alla macchina di indovinare la parola mancante sulla base del contesto. All’inizio, la macchina faceva sbagli, così i ricercatori le mostravano la risposta giusta e lei imparava. Poi ha iniziato a capire il contesto, la grammatica, la semantica. E – sorpresa- a rispondere a tono, completando le frasi, a scrivere programmi per computer, a generare codici. Le ultime versioni possono superare i test per entrare nelle università americane. Un mio studente usa GPT per risolvere i labirinti, un altro per giocare a scacchi. Quindi da qualche parte, dentro quei modelli, non c’è solamente il linguaggio umano, ma c’è anche la conoscenza per svolgere altri compiti. E questa è stata un’altra sorpresa…”

Ma è un caso che sia successo?

“Non è un caso. È la conclusione di un lavoro che dura da molti decenni. Sono stati anni pazzeschi, in cui abbiamo costruito un’impalcatura a strati. Le racconto una storia…”

Prego…

“Facevo il ginnasio e prendevo ripetizioni di greco da Don Antonio, un prete che veniva a casa ad aiutarmi. Era il 1981. Avevo 14 anni, passavo il tempo davanti a un computer che avevo imparato a programmare da solo. Don Antonio, una sera, chiese al mio computer: quando è nato Alessandro Magno?  Era una macchinetta bianca, piccola come un libro, collegata alla TV. “Non può rispondere- gli dissi- ma posso programmarlo. Perché un computer sappia quando è nato Alessandro Magno, qualcuno glielo deve dire…”

Don Antonio si girò quasi arrabbiato, dicendomi:  “i computer non saranno mai come noi”.  Questa cosa mi è rimasta impressa. Ci ho ripensato per anni, mentre trascorrevo giornate intere davanti a un computer. Moltissimo tempo dopo, mi trovavo a Grado in spiaggia con i miei nipotini, era appena uscito Siri. E io, ricordandomi di questo fatto, ho chiesto: ehi Siri, quando è nato Alessandro Magno? Siri mi ha risposto a voce, in modo corretto. Ecco, mi sono chiesto, se dovessi spiegare a Don Antonio come siamo arrivati, dall’81 al 2007, dall’impossibile al possibile, cosa dovrei dirgli? Gli direi che è storia di strati. Di impalcatura”.

Computer, Internet, smartphone…

“Gli dovrei raccontare- nel 1981- che a un certo punto tutti avremmo avuto a casa un computer, che tutti i computer sarebbero stati collegati tra di loro. Che sarebbe nata un’enciclopedia di ottima qualità, di nome Wikipedia, fatta da tutti e da nessuno.  E in parallelo: Wi-Fi, i telefoni cellulari, ognuno di noi con in tasca un computer che parla, che trova la strada, che traduce. E ancora: i social media, dove tutti, costantemente, scrivono quello che pensano. Quella stessa infrastruttura ci consente di acquistare, di vendere, di leggere il giornale…”

E poi è arrivato ChatGPT…

“Che ha letto tutta la Rete, Wikipedia, i blog, i giornali, i libri, in ogni lingua e ha imparato a capire il significato del linguaggio. E oltre: ha imparato a comprendere il mondo. A modo suo…”.

E dove si arriverà?

“Non sappiamo dove saremo nel 2050, non credo sia facile prevederlo ora. Turing, però, ci aveva in qualche modo avvertito. Diceva: e se ci fosse un’analogia con il reattore nucleare, ossia che sotto una certa massa critica la reazione nucleare non avviene, al di sopra di quella massa spontaneamente c’è una reazione?

Così, sotto una certa soglia di conoscenze la macchina non fa niente, oltre a una certa soglia la macchina spontaneamente si automigliora. E forse cosi è, non si sa ancora con certezza ma stiamo scoprendo abilità emergenti, che emergono spontanee. Non sappiamo come fa, ma sappiamo che più dati mettiamo dentro più emergono altre abilità. Cosa succederà quando questi modelli leggeranno 120 milioni di libri, tanti quanti sono mai stati scritti nella storia dell’umanità?”.

Che cosa vuol dire tutto questo?

“Che non siamo gli unici a comprendere il mondo. Abbiamo scoperto che è possibile creare un meccanismo che comprende le cose molto bene, ma in modo completamente diverso da noi. Abbiamo scoperto che più lo facciamo diventare grande, più diventa capace. Così c’è una competizione in atto tra le aziende per creare il modello più grande. E questa competizione, alla fine, potrebbe portarci a un meccanismo che non solo sarà molto capace ma è forse addirittura meglio di noi, in alcuni campi. Però a questo punto ci resta una grande domanda: cosa vuol dire avere a che fare con un’entità che è più capace di noi, sovrumana, in certi aspetti?”

Ecco cosa vuol dire?

“Siamo in un momento storico di grandissimo cambiamento ed è importante capirlo a fondo. Non è un cambiamento tecnico, o meglio non è solo tecnico. Ha un impatto economico, storico, culturale, filosofico. Per capirlo, bisogna riuscire a guardare questo momento dal futuro. È come se avessimo scoperto un nuovo continente. Abbiamo trovato una strada che prima non conoscevamo. Ora bisogna capire cosa possiamo farci…”

Lei è un ottimista?

“Sono un ottimista, perché non serve a nulla essere pessimisti. Non c’è nessun beneficio.  Ogni scienziato deve essere un po’ scettico, ma questo non vuol dire dubitare della buona fede degli altri. Il pessimismo è inutile, lo scetticismo è sano, il cinismo è di cattivo gusto. Sono ottimista perché credo che tutti stiano cercando di fare bene. Ci sono fondi, investimenti, talenti, aziende private che hanno lavorato per farci scoprire un intero mondo che non avremmo scoperto altrimenti. C’è il Parlamento Europeo che si occupa da anni di questi temi… Durante il vertice del G7 a giugno in Italia i capi di Stato cercheranno di mettersi d’accordo per fare delle regole tutti insieme. Abbiamo già paletti e regole, ora dobbiamo renderle sempre più chiare”.

Perché allora in giro c’è cosi tanta ansia?

“La peggior paura è la paura dell’ignoto. E la cura dell’ansia è la conoscenza. Quando mi invitano a parlare, a volte mi chiamano i catastrofisti e vogliono che io parli di un mondo che sta per finire. Altri invece vogliono che io dica che stiamo entrando in un periodo paradisiaco. La verità è che siamo nel mezzo… e tutto dipenderà da noi. Da quanto prenderemo sul serio questo momento e da quanto ci impegneremo per cogliere questa opportunità”.

Se non sappiamo dove ci porterà, perché non ci fermiamo?

“Non so che cosa sia giusto fare, ma so cosa faremo: non ci fermeremo, perché questa è la natura umana. Noi siamo istintivamente portati a esplorare. Andremo avanti, guarderemo dentro questa macchina, anche se tutto questo ci fa paura. Abbiamo giocato con il fuoco, la prima delle tecnologie, pur sapendo che ci saremmo bruciati. Siamo istintivamente esploratori. Ma ecco una bella notizia: noi, essere umani, siamo anche capaci di fermarci quando abbiamo un motivo valido. Siamo stati capaci di fermarci davanti alla clonazione umana. Si può clorare la pecora da 30 anni ma non cloniamo le persone per una scelta esplicita. Perché non è compatibile con i nostri valori…”

Lei ha grande fiducia nel genere umano e questo è bellissimo

“Abbiamo fatto un disastro con l’ambiente perché non sapevamo quello che facevamo. Ma nel caso dell’intelligenza artificiale stiamo facendo le leggi in anticipo prima di avere il primo problema. Non è un segno di progresso?”

Lo è. Qual è il suo sogno?

“Il mio sogno è tornare a fare lo studente”.

La macchina potrebbe superarci?

“Sì, lo sta già facendo e dovremo trovare il modo di accettarlo. Sapevamo che non eravamo l’animale più veloce o più forte, ma ci piaceva l’idea di essere quell’animale che comprende il mondo. Ci siamo chiamati Homo Sapiens. Adesso la nostra creatura ci ha mostrato che non saremo sempre gli unici a conoscere il mondo. E  non è più detto che siamo destinati a restare i primi della classe. Ma ci rimarrà sempre il nostro spirito. La ricerca della verità. Della bellezza. Forse si chiama arte…”

Fonte : Repubblica