Fino a che punto i “cecchini volanti” stanno cambiando la guerra

Droni paracadutati oltre le mura che colgono di sorpresa l’esercito israeliano, carri armati in miniatura e telecomandati che trasportano mine esplosive tra le campagne nei dintorni di Kiev, e ancora micro-barche che invisibili nel cuore della notte riescono a colpire le gigantesche navi militari russe che si credevano al sicuro nel porto di Sebastopoli. A differenza di quanto cantavano i Baustelle, la guerra non è affatto finita. È solo più vicina e più precisa di quanto non lo fosse solo qualche decennio fa.

Eppure molti degli strumenti che vediamo applicati oggi sono un’evoluzione di quanto sperimentato durante la seconda guerra mondiale o in altri conflitti immediatamente successivi. La differenza principale sta nella rapidità. Sia quella con cui alcuni combattimenti si svolgono, sia quella con cui eserciti o formazioni paramilitari come i palestinesi di Hamas e gli Houti dello Yemen riescono ad innovare i propri armamenti grazie ad un vecchio must scolastico: copiando. Se ci isoliamo per un istante dalla propaganda delle parti coinvolte nel conflitto e accendiamo i riflettori sull’impatto di queste innovazioni, due aspetti principali emergono: quello tecnologico e quello umano, che restano centrali e interconnessi in tutti i conflitti.

I “cecchini volanti”: economici e letali

Sin dall’inizio della guerra tra Russia e Ucraina, le truppe di Kiev hanno utilizzato droni commerciali sui quali hanno messo o delle piccole munizioni o addirittura delle granate, lanciate contro avversari come fossero una sorta di “cecchini volanti” oppure utilizzati per scopi di ricognizione delle truppe avversarie su cui far convergere o il fuoco dell’artiglieria o delle forze di terra. “Il loro ruolo è stato importante perché hanno aumentato la letalità del campo di battaglia e quindi hanno reso le avanzate o le semplici operazioni molto più rischiose. Se si sa che un drone avversario può colpire o fare ricognizione, è necessario avere dei sistemi appositi, o di protezione per schermarlo o per muoversi più velocemente”, ha spiegato a Today.it Andrea Gilli, ex ricercatore della Nato e oggi docente di Studi strategici all’Università di Saint Andrews in Scozia.

Vecchie idee, nuovi utilizzi

I droni non sono però una novità assoluta negli scenari militari. I sistemi automatizzati, a cui si ispirano gli strumenti contemporanei, risalgono in realtà alla seconda guerra mondiale, sfruttati sia dall’esercito tedesco che da quello statunitense. “Gli ucraini stanno riprendendo i principi di quelle tecnologie, come hanno fatto con le piccole macchine telecomandate con una mina attaccata sopra, ispirata al Goliath (un portatore di carica leggero, ndr) utilizzato dai tedeschi per distruggere i tank dei nemici.

un t90 russo distrutto da una granata sganciata da un drone

La versione degli ucraini è più piccola e più rapida, ma il concetto è lo stesso”, ha spiegato Mirko Campochiari durante il Forum su guerra, pace e robotica organizzato a dall’Università Libera di Bruxelles lo scorso 4 maggio. Secondo Campochiari, esperto di Storia militare, una parte dei meriti va ricercata fuori dall’ambito militare. “Esiste un enorme sistema realizzato dai civili, dato che questo tipo di strumenti viene realizzato di solito da amatori, che nell’80% dei casi si dedica a delle modifiche nel proprio garage. Solo in un secondo momento i militari hanno adottato alcune di queste tecnologie ‘civili'”, ha precisato l’esperto, che anima su Youtube il canale Parabellum.

Modelli evoluti

Nel campo dei droni, dove sono già in uso sia quelli di ricognizione che quelli pilotati (Fpv), in grado anche di sparare, le nuove versioni puntano a sfruttare a 360 gradi l’intelligenza artificiale. Ed è questo il ramo in cui la Russia sta investendo di più. “Si punta ad usare droni che non hanno più bisogno di guide Gps né di un pilota, ma il loro percorso viene pre-programmato. Ad esempio durante il giorno un drone fa la ricognizione, poi durante la notte sullo stesso percorso si invia un altro drone che ha dentro delle flash card, che al loro interno contengono tutto il percorso. Una volta inviati, per bloccare questi droni è necessario abbatterli, ma bisogna innanzitutto essere in grado di vederli durante la notte, circostanza molto difficile viste le loro piccolissime dimensioni”, ha precisato Campochiari. Nella guerra a Gaza l’esercito israeliano sta adoperando velivoli di dimensioni ridottissime, silenziosi e dotati di sensori ottico-comunicativi. Con queste caratteristiche sono in grado di volare all’interno degli edifici e riescono a evitare che i soldati incappino in delle imboscate. Ultima avanguardia: sfruttare l’intelligenza artificiale affinché i droni riconoscano autonomamente i bersagli. “Questo naturalmente comporta molte questioni etiche, dato che non c’è un umano dietro a prendere la decisione finale”, ha messo in evidenza Campochiari.

droni-israele-lancio-gaza-lapresse

La stessa tecnologia viene adoperata in modo diverso a seconda del contesto e delle esigenze specifiche. Si è visto come i droni hanno impattato diversamente in scenari come la Libia, la Siria (dove sono stati distrutti rapidamente dall’esercito russo) o l’Azerbaigian, dove invece si sono dimostrati estremamente efficaci nella conquista del territorio conteso del Nagorno-Karabakh.

Non rivoluzione, ma impatto tattico

Nell’attacco sferrato dall’Iran contro Israele invece sono stati visti all’opera i “droni kamikaze”. Sul lungo periodo il conflitto tra Kiev e Mosca rimane quello che sta mostrando esempi molteplici e diversificati. “L’Ucraina ma anche la Russia cercano di utilizzare i droni per colmare dei gap, come l’imprecisione o l’assenza di munizioni d’artiglieria. L’Ucraina in particolare sta cercando di utilizzare i droni con scopo coercitivo, provando a sostituire quelli che una volta erano i bombardamenti a tappeto o quelli a lungo raggio”, ha dichiarato Gilli a Today.it.

Nonostante il loro uso massiccio, diversi esperti sono concordi nell’affermare che non si tratti (ancora) di una vera e propria rivoluzione militare, ma di un mutamento tattico. “Se durante la prima guerra mondiale un attacco di artiglieria durava circa 30 minuti, adesso dura appena 30 secondi. Come in passato, anche nella guerra Russia-Ucraina l’80% dei morti deriva dall’artiglieria, la differenza è che i droni sono coinvolti in qualunque aspetto della guerra”, ha precisato Campochiari durante il suo intervento al Forum organizzato dal Brussels Institute for Advanced Studies (BrIAS). “I droni hanno impattato il campo di battaglia, ma non l’hanno ancora rivoluzionato. Lo si capisce dal fatto che nonostante l’Ucraina consumi secondo le stime fino a 10mila droni al mese, non è riuscita a compiere la controffensiva attesa lo scorso anno”, ha invece messo in evidenza Andrea Gilli.

I rischi dell’esercito di droni

Quello che offrono i droni è in primo luogo un risparmio. Sia in termini umani, specialmente all’esercito ucraino a corto di uomini oltre che di mezzi, che economici. “Un drone commerciale può costare anche poche centinaia di euro, mentre un missile da crociera costa 1 milione di euro. Con il costo di quest’ultimo si possono acquistare centinaia se non migliaia di mini-droni. Ovviamente gli effetti non sono gli stessi. Un missile da crociera può volare fino a 700 km di distanza e una testata di una certa dimensione può anche distruggere un obiettivo protetto e rafforzato, mentre i piccoli droni possono fare danni più ridotti. Per un Paese come l’Ucraina, che ha scarse risorse finanziarie e militari i droni possono aiutare nel dilemma economico”.

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Ci sono però limiti di stampo strategico. Secondo Gilli non conviene investire tutte le risorse nei droni a corto raggio, perché pur creando attrito verso le forze avversarie, mancano poi le capacità per riconquistare terreno. “Quando il presidente ucraino Zelensky nelle ultime comunicazioni dice che vorrebbe creare un esercito di droni in Ucraina è rischioso, perché il fattore umano rimane centrale. Non si può pensare di vincere una guerra utilizzando solo droni. O almeno finora non è mai successo e ci sono dubbi sul fatto che questo obiettivo possa effettivamente essere raggiunto”, ha rimarcato Gilli.

Soldati più protetti o più esposti?

Ma come si sentono i soldati ad operare in questi contesti dominati da tecnologie sempre più letali e in perenne evoluzione? “Se si può affidare un compito pericoloso a un robot, come lo sminamento, ci si sente più sicuri, ma per altri strumenti sappiamo che anche altri Paesi e avversari stanno sviluppando le stesse idee, probabilmente più velocemente di noi”. Ad essere mutata è la rapidità con cui sia gli eserciti regolari che le organizzazioni paramilitari o terroristiche replicano e sfruttano le tecnologie.

“La cosa più importante che la guerra in Ucraina ci ha insegnato riguarda la velocità del ‘ciclo dell’innovazione’, aumentata enormemente. Se prima avevi una nuova tecnologia e la applicavi, avevi da sei mesi a un anno di vantaggio sul tuo avversario. Ora il ciclo è così breve che forse il giorno o due giorni dopo l’avversario è già in grado di contrastarlo. Quindi dobbiamo concentrarci anche sull’agilità e sull’avere esperti che possano aiutarci con i problemi che le forze avversarie ci pongono, altrimenti faremo i conti con un ciclo di innovazione superiore al nostro”, ha messo in evidenza Ceulemans. Gli eserciti degli Stati membri dell’Unione europea e della Nato chiedono più risorse ai governi da investire in ricerca e sviluppo, per colmare l’enorme gap in questo settore rispetto a Stati Uniti, Russia e Cina. Intanto il prezzo più alto lo stanno già pagando le vittime civili in Ucraina, in Medio Oriente o in Nagorno-Karabakh, destinate ad aumentare se non cesserà l’escalation dei conflitti alle porte d’Europa.

Fonte : Today