Influencer, quali sono le proposte per regolarli

È il momento di iniziare a mettere ordine nelle proposte per regolare il lavoro degli influencer. Entro il 3 luglio l’Autorità garante delle comunicazioni (Agcom) vuole ricevere idee per scrivere un codice di condotta per content creator, streamer e vlogger, dopo che a inizio anno ha varato una stretta sul settore. Imponendo agli influencer con un grande seguito di rispettare le stesse regole a cui si devono attenere i grandi media televisivi, sulla scia dell’inchiesta sulla sponsorizzazione dei pandori Balocco da parte di Chiara Ferragni.

Da due mesi Agcom ha coinvolto una sessantina di enti, tra agenzie di comunicazione, manager di influencer, studi legali, associazioni di categoria e grandi social network, perché formulino una serie di proposte per identificare chi si può considerare influencer, distinguere i messaggi pubblicitari dagli altri e affinare le misure di protezione di minori e altre categorie fragili. Ma trovare il bandolo della matassa non è affatto facile. A cominciare dai numeri che classificano i grandi influencer.

La soglia e le metriche

Nella stretta del 10 gennaio Agcom ha messo nel mirino i creatori di contenuti che hanno un milione di follower, hanno pubblicato almeno 24 post sponsorizzati nell’anno precedente e un tasso di engagement, quindi di reazioni, commenti e like, del 2% negli ultimi sei mesi. Numeri però contestati nel gruppo che lavora a fissare le soglie oltre le quali si applicano le norme di tv e radio, il Testo unico dei servizi dei media audiovisivi (Tusma).

La proposta è di abbassare sensibilmente la soglia del milione di follower, per intercettare i micro-influencer o i creatori verticali di settore. Altrimenti sarebbero circa 1.500 i profili a ricadere sotto la scure di Agcom. E gli altri? Le agenzie propongono di scendere di molto: a 50mila un creatore di contenuti in una nicchia è un’autorità. E differenziare i pesi in base alle piattaforme: un milione di follower su Twitch non è uguale a uno su TikTok, anche se la matematica non cambia. Altrettanto si vuol fare con i 24 post sponsorizzati dell’anno prima: rimuovere la previsione. Basta anche solo un post pagato perché sia pubblicità. E modificare la seconda metrica di valutazione, passando dall’engagement, che persino per certi influencer da milioni di follower è molto basso (e li escluderebbe dalle regole) e che le piattaforme ormai non favoriscono più, alle visualizzazioni. Per semplificare i controlli, inoltre, la soglia si applicherebbe ai follower cumulati su una sola piattaforma. Ma a quel punto scatterebbe anche su tutte le altre dove l’influencer ha un profilo, anche se con numeri sotto soglia.

Il silenzio dei social

Nel gruppo, a cui partecipano alcuni sindacati dei content creator e osservatori del settore, siedono anche tutte le grandi piattaforme: Google, LinkedIn, TikTok e la regina dei social network, Meta, che porta in dote Facebook, Instagram e Meta. Presenti, ma in silenzio. A questo come agli altri due gruppi di lavoro (su pubblicità e modalità di segnalazione e quello su minori e sicurezza).

Non parlano, le piattaforme, nemmeno se chiamate in causa, dicono a Wired fonti confidenziali informate sullo svolgimento dei lavori. La ragione? Dal loro punto di vista, perché al tavolo non ci dovrebbero stare, siccome le norme si applicano ai singoli creatori di contenuti e non a chi li ospita. È stata Agcom a insistere che ci fossero. I social network, però, giocano la loro partita. Stare fermi, non dare troppe idee. Preferiscono ribadire le linee guida interni e poi sono già presi a spegnere gli incendi provocati dall’entrata in vigore del Digital services act, il regolamento europeo sui servizi digitali che ha scovato falle in tutte le piattaforme. Tanto che la Commissione ha aperto indagini a carico di Meta e X, mentre TikTok ha bloccato il lancio della sua versione Lite per non finire sotto la lente di Bruxelles. Così a livello locale tengono un profilo basso. Rimandando di farsi sentire a quando saranno pronte le bozze del codice di condotta.

Dai minori agli hashtag

Tra gli altri nodi del contendere ci sono i metodi per identificare un contenuto sponsorizzato. Agcom vuole rendere obbligatorio l’uso dell’hashtag #pubblicità in italiano, e non solo l’internazionale #adv (abbreviazione di advertising, pubblicità in inglese), come succede in Francia e Spagna. Anche in questo caso le piattaforme avrebbero da dire la loro. Molte hanno sviluppato strumenti interni alternativi all’hashtag per segnalare i contenuti pubblicitari. I risultati di riconoscibilità, in verità, sono altalenanti. Chi si è fatto sentire sono i manager degli influencer, che non gradiscono paletti troppi stretti.

Fonte : Wired