Toti, il mostro sbattuto in prima pagina

Tana per Toti. “Alla fine, lo hanno preso, finalmente…”. Nessun dubbio che Giovanni Toti sia colpevole. Sotto sotto è questo il pensiero che alberga nella mente di molti giustizialisti che possono gridare allo scandalo, mentre il Pd sta già pensando a come e quando riconquisterà la Liguria. Il centrodestra parla di giustizia ad orologeria perché, per l’ennesima volta, la magistratura si è mossa a pochi mesi da un importante appuntamento elettorale, ossia le elezioni Europee.

Difficile contraddire questa tesi visto e considerato che l’avviso di garanzia per corruzione all’ex presidente della Regione Sardegna, il sardista Christian Solinas, è arrivato pochi giorni prima della presentazione delle liste. Ma qui il problema è un altro. Lo sport di sbattere il mostro in prima pagina ha mietuto troppe vittime innocenti. Ora, la verità processuale nel caso di Toti arriverà chissà quando, ma i precedenti illustri dovrebbero invitare tutti a una certa cautela.

Tante carriere stroncate, poi in Tribunale l’assoluzione

Sì, capita che i presidenti di Regione compiano dei reati e finiscano in carcere, però, sono troppi gli abbagli presi finora dalla magistratura. Basti pensare che Antonio Bassolino, ex presidente della Regione Campania, è stato assolto 11 volte. La vituperata Renata Polverini, eletta presidente della Regione Lazio nel 2010 dopo aver sconfitto Emma Bonino per 75mila voti, è stata costretta a dimettersi tre anni dopo per lo scandalo Fiorito sebbene lei personalmente non abbia neppure mai ricevuto un avviso di garanzia. In Calabria, invece, fece molto scandalo l’inchiesta Why Not? condotta dal pm Luigi De Magistris e che vide coinvolti il presidente della Regione dell’epoca, il piddino Agazio Loiero, ed il suo predecessore di centrodestra Giuseppe Chiaravalloti, entrambi assolti. Restando sempre in Calabria, Mario Oliviero, presidente di centrosinistra dal 2014 al 2020, dopo essere stato rinviato a giudizio a meno di un anno dalla fine del suo mandato, rinuncia a presentarsi per il bis in quanto indagato con l’accusa di peculato. Accusa che sparisce nel 2021 quando Oliviero viene assolto perché “il fatto non sussiste”.

marcello-pittella-lapresse

Con questa stessa motivazione nell’agosto dell’anno scorso è stata assolto anche Raffaele Lombardo, presidente di centrodestra della Regione Sicilia fino al 2012, dall’infamante accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. In Basilicata, invece, c’è il caso di Marcello Pittella che, da presidente di Regione, nel 2018 venne messo agli arresti domiciliari proprio come Toti con l’accusa di falso e abuso d’ufficio nell’ambito di un’inchiesta sulla sanità. Dimessosi nel 2019, Pittella ha ottenuto l’assoluzione sia in primo grado sia in Appello e il suo sostegno al centrodestra in occasione delle recenti elezioni regionali ha consentito al presidente uscente Vito Bardi di essere rieletto. In Puglia, ormai, neppure si contano più le inchieste che hanno visto coinvolto il presidente Emiliano, ma hanno comunque fatto minor rumore rispetto a quella che ha riguardato Raffaele Fitto, indagato per anni nell’ambito di un’inchiesta sulla sanità in Puglia e, poi, assolto perché “il fatto non sussiste”. Spostando lo sguardo verso il Nord-Italia, poi, non si può non dimenticare l’inchiesta Terremerse del 2012 che portarono alle dimissioni dell’allora governatore Pd dell’Emilia Romagna, Vasco Errani, puntualmente assolto 2016 perché “il fatto non sussiste”.

“Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”

Si potrebbe continuare all’infinito, ma forse è bene fermarsi con una menzione speciale per l’attuale presidente della Lombardia Attilio Fontana e il suo predecessore Roberto Maroni. Il primo, accusato durante il periodo della pandemia insieme al cognato del reato di frode nelle pubbliche forniture (i famosi camici), viene assolto nel luglio 2023 perché “il fatto non sussiste”. Ancor più paradossale è il caso di Maroni che, dopo l’assoluzione arrivata nel 2020 per un’inchiesta sull’Expo, nell’aprile 2023 ha assolto un uomo co-imputato in un processo che sarebbe dovuto ritenersi concluso a causa della morte dell’ex leader leghista. Insomma, prima di puntare il dito contro il “presunto colpevole” come se fosse già colpevole ancor prima che sia iniziato il processo dovremmo tutti, media e politica, fare nostro il motto trapattoniano “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”. Che, tradotto in legalese, significa: “tutti siamo innocenti fino al terzo grado di giudizio”. Tutti. Toti compreso.

Fonte : Today