Piattaforme di intelligenza artificiale per generare canzoni degne di un qualsiasi album, o addirittura intere colonne sonore, in pochi secondi, giusto scrivendo due righe di testo o caricando pochi secondi di melodia di base. Sono decine, ciascuna con una sua specializzazione. Software per produzione (audio e video) e arrangiamento con tool sempre più sofisticati integrati direttamente nel flusso di lavoro. Strumenti per clonare o creare voci sempre più realistiche. Vista dall’ottica di un ansioso, il mondo della musica sembrerebbe decisamente sotto assedio da parte dell’intelligenza artificiale generativa: come l’universo della produzione video, ma forse di più, è uno degli ambiti più colpiti dalla rivoluzione epocale di cui siamo ai primi assaggi.
“L’AI è uno strumento tecnologico, il cui utilizzo rimane una nostra responsabilità – risponde Stefano Mastruzzi, 54enne direttore del Saint Louis College of Music, dagli anni ’70 una delle più importanti scuole di musica del paese -. Negli ultimi decenni lo sviluppo tecnologico ha consentito a un numero via via crescente di persone di accedere a una professione, penso alla fotografia, alla musica, alle arti visive, con competenze sempre meno qualificate, in quanto compensate, perlomeno sulla carta del libretto di istruzioni, dal supporto tecnologico”.
Oggi, spiega a Wired Italia il chitarrista e storico imprenditore della musica in Italia e all’estero, non c’è necessariamente bisogno di essere un grande fotografo per mettere correttamente a fuoco un soggetto o impostare il tempo di posa rispetto all’apertura del diaframma, la macchina può farlo per me: “Però rimane una grande differenza fra una foto tecnicamente ben eseguita e una foto artistica di grande impatto emotivo, ottenuta anche grazie alla tecnologia, sia chiaro. Ora in questa corsa al ribasso l’AI sta riuscendo in una missione ancora più sfidante, consentire a una persona senza alcune competenze musicali né autoriali di tirar fuori una canzone (o un qualcosa che appare tale) con pochi click. Affascinante, ma inutile”. La ragione? “L’utilizzo consapevole dell’AI, di contro, per un vero artista interprete del proprio tempo e quindi anche sperimentatore e pioniere delle meraviglie tecnologiche potrebbe invece rivelarsi uno strumento potentissimo per consentirgli di andare oltre e cogliere l’infinito. O almeno provarci”.
Delle fasi creative del processo musicale, c’è da domandarsi quale sia la più influenzata dalla tecnologia e quali nuove figure, specificamente legate all’incrocio fra musica e tecnologie d’avanguardia, possano dunque emergere da questo scontro-incontro: “Ritengo che il settore della produzione musicale al momento sia quello più colpito dai successi tecnologici, ma è un processo in atto già da alcuni decenni – aggiunge Mastruzzi, che ha portato il Saint Louis a oltre 1.500 studenti da ogni parte del mondo nelle sue quattro sedi romane -. Se negli anni ‘60 per realizzare una canzone avevamo bisogno di un autore, un compositore, un arrangiatore, un fonico per registrare e mixare, tanti musicisti per eseguire la partitura, studi di registrazione allo stato dell’arte, oggi per quei ruoli c’è un’unica persona, il music producer. Poi all’interno della categoria dei producer ci sono anche gli specialisti, il beat-maker ad esempio, ruoli intimamente legati alla evoluzione tecnologica: né un music producer né un beat-maker avrebbero avuto lunga vita negli anni ’70, ma quello semplicemente non era il loro tempo. Allo stesso modo fioriranno anche altre figure professionali, legate all’intelligenza artificiale, ad esempio il data analyst per analizzare grandi quantità di dati musicali per conto di case discografiche (esistono ancora?), piattaforme di streaming e artisti per comprendere i modelli di ascolto, le tendenze di mercato e le preferenze degli ascoltatori”.
Fonte : Wired