È nota come “noce di mare” e dal 2014 sta letteralmente invadendo la laguna veneta. Si tratta di una specie aliena per il Mediterraneo: come l’ormai noto granchio blu è infatti originaria dell’Oceano Atlantico e si pensa che negli anni ’80 sia stata accidentalmente introdotta nel Mar Nero attraverso le acque di zavorra delle navi cisterna. Da qui si è poi diffusa nel Mar Mediterraneo, e poi nel bacino del Caspio, nel Mar Baltico e nel Mare del Nord. Uno studio pubblicato su Hydrobiologia ripercorre questa traiettoria, chiarendo il legame fra l’aumento delle temperature nelle acque lagunari e la crescita esplosiva di questa specie aliena. I risultati della ricerca sottolineano inoltre l’impatto nefasto che la noce di mare sta avendo sulla pesca tradizionale della laguna veneta.
Mnemiopsis leidyi: identikit della specie
La Mnemiopsis leidyi, questo il nome scientifico della cosiddetta noce di mare, assomiglia un po’ a una medusa, con la differenza che i suoi tentacoli non sono urticanti per l’essere umano. Il suo corpo gelatinoso e praticamente trasparente è lungo mediamente una decina di centimetri. Si ciba di zooplancton, tra cui crostacei e altri animali appartenenti al suo stesso phylum (Ctenophora), oltre che di larve e uova di pesce. È una specie ermafrodita, in grado cioè di auto-fertilizzarsi, ed è capace di tollerare un regime di temperature molto ampio, il che la rende particolarmente resistente ai cambiamenti climatici. Nel 2000 è stata inserita nella lista delle 100 specie aliene più invasive del mondo, stilata da una commissione della International Union for Conservation and Nature (Iucn).
Lo studio in collaborazione con i pescatori
Oltre ad essere una vorace predatrice di specie pregiate per la pesca, la noce di mare spesso intasa completamente le reti, a scapito specialmente dei pescatori che si avvalgono di tecniche di pesca tradizionali. Il presente studio nasce proprio dal dialogo dei ricercatori con questi ultimi: “Questo progetto nasce dalla collaborazione fra i ricercatori della sede di Chioggia dell’Università di Padova e i pescatori lagunari”, racconta Filippo Piccardi, dottorando presso l’Università di Padova e primo autore dello studio. “Sono stati loro i primi a vedere l’intruso in Laguna e a subirne le conseguenze. Lo studio – prosegue – è il primo esempio di quantificazione dell’impatto che una specie invasiva ha avuto e sta purtroppo tutt’ora avendo sulla piccola pesca lagunare. Non c’è solo il granchio blu e il rischio di queste invasioni biologiche è quello della perdita totale di una tradizione di pesca lagunare quasi millenaria che utilizza attrezzi estremamente sostenibili”.
Il contributo e le conoscenze dei pescatori, spiega Alberto Barausse, docente presso l’Università di Padova e coordinatore dello studio, hanno permesso di ricostruire dal punto di vista temporale la fase di arrivo della noce di mare in laguna, attestata attorno al 2010, e quella successiva di esplosione demografica della specie, osservata a partire dal 2014. Quest’ultima fase, indicano i modelli statistici messi a punto dal gruppo di ricerca, ha corrisposto con un significativo aumento della temperatura delle acque lagunari. “Infine – prosegue Barausse -, un’analisi delle serie temporali di sbarcato lagunare e i nostri monitoraggi sul campo in affiancamento ai pescatori hanno permesso di dimostrare la connessione fra l’invasione di questa specie e il calo del pescato lagunare, diminuito di quasi il 40% già negli anni precedenti l’esplosione del granchio blu. Specie invasive come noce di mare e granchio blu – conclude – sono una tragedia ambientale e sociale che va affrontata cercando strategie di mitigazione e adattamento sostenibili, che rispettino cioè anche gli ecosistemi locali”.
Fonte : Wired