Se con l’arrivo dell’estate la stagione dei virus respiratori potrebbe finire presto, negli Stati Uniti sta circolando una nuova famiglia di varianti di Covid-19, chiamata FliRT, che sta suscitando preoccupazione tra gli esperti per una nuova potenziale ondata di infezioni quest’estate. In particolare, sotto i riflettori c’è la variante KP.2, che nelle ultime settimane ha rapidamente superato JN.1, la sottovariante omicron che ha causato l’impennata di casi lo scorso inverno, diventando attualmente il ceppo dominante negli Usa. Secondo le ultime stime dei Centers for Disease Control and Prevention (Cdc), infatti, KP.2 si sta diffondendo velocemente, rappresentando attualmente un’infezione su quattro a livello nazionale. Ma quali sono le varianti FLiRT, che sintomi provocano e qual è l’efficacia dei vaccini disponibili oggi?
Quali sono le varianti FLiRT?
Le cosiddette varianti FliRT sono discendenti lontane delle varianti omicron, ma essendo piuttosto recenti gli esperti ne stanno ancora studiando le caratteristiche. Nel caso di KP.2 sappiamo che deriva dalla variante JN.1., ma differisce da questa per alcune mutazioni che sembrano dargli un maggior vantaggio in termini di contagiosità rispetto alle precedenti. “Siamo ancora agli inizi, ma l’impressione iniziale è che questa variante (KP.2) sia piuttosto trasmissibile”, commenta a Today William Schaffner, professore di malattie infettive al Vanderbilt University Medical Center.
I sintomi della variante KP.2
La buona notizia è che ad oggi non ci sono prove a sostegno che la nuova variante possa causare malattie più gravi rispetto alle precedenti. Come ricordano i Cdc, il tipo e la gravità della sintomatologia dipendono dalla salute e dal sistema immunitario di base di una persona, piuttosto che dalla variante che ha causato l’infezione. In linea generale, quindi, ricordiamo che i sintomi delle varianti FLiRT sono simili a quelli causati da JN.1, ovvero: mal di gola, tosse, stanchezza, febbre, dolori muscolari, perdita del gusto o dell’olfatto, difficoltà a respirare, nausea, vomito e diarrea. Come ha spiegato Pier Luigi Lopalco a Repubblica, “anche nel caso, molto probabile, in cui KP.2 arrivi in Italia e si diffonda, come sta facendo negli Stati Uniti, i sintomi non dovrebbero essere più gravi di quelli tipici di un’influenza stagionale”.
I vaccini funzionano ancora
Alcune prime indagini suggeriscono che KP.2 è mutato a tal punto che gli attuali vaccini e l’immunità dalle precedenti infezioni potrebbero fornire una protezione parziale. Il responsabile, secondo uno studio apparso su bioRxiv, sarebbe un cambiamento nella struttura della proteina spike che conferirebbe una maggior resistenza. “I primi studi di laboratorio indicano che i vaccini continueranno a fornire protezione contro KP.2: una protezione leggermente inferiore, ma non pari a zero in alcun modo”, aggiunge Schaffner. Man mano che il virus muta, infatti, sta diventando progressivamente diverso da Omicron preso di mira nell’ultimo richiamo aggiornato rilasciato nell’autunno del 2023. “Ci aspettiamo che ciò accada e prevediamo che il piano sarà quello di avere un vaccino aggiornato disponibile in autunno per tutti”, prosegue l’esperto. È importante ricordare comunque che i vaccini, anche se non prevengono l’infezione, offrono protezione limitando il rischio di malattie in forma grave, ricoveri ospedalieri e complicanze legate a Covid-19.
Ci sarà un’ondata estiva?
Sebbene con l’arrivo dell’estate le persone trascorreranno meno tempo in ambienti chiusi, riducendo così le opportunità per KP.2 di potersi diffondere, è ancora troppo presto per capire se riuscirà comunque a causare un’ondata estiva, non solo negli Stati Uniti, ma anche a livello globale. In passato, sottolineano gli esperti, il nuovo coronavirus ha causato ondate estive, anche se spesso più piccole di quelle invernali. La stagionalità di Covid-19, tuttavia, è qualcosa che gli scienziati stanno ancora cercando di capire, ma una cosa è certa: “Questo virus si sta ormai integrando nella nostra popolazione e nel nostro stile di vita”, conclude Schaffner.
Fonte : Wired