Un nuovo modello per provare ad attaccare il più duro tra gli ossi duri della fisica contemporanea, il Paradosso di Schrödinger, ossia la riconciliazione tra meccanica quantistica e relatività generale. Lo ha proposto, sulle pagine della rivista Journal of High Energy Physics, un’équipe internazionale di fisici, provenienti da diversi istituti di ricerca, tra cui figura anche l’italiano Matteo Carlesso del Dipartimento di fisica all’Università di Trieste. Il modello proposto è una sorta di “correzione” all’equazione di Schrödinger, una delle pietre miliari della meccanica quantistica, a cui è legato il celebre paradosso del gatto vivo e morto allo stesso tempo: gli autori dello studio hanno provato, rozzamente parlando, a descrivere l’intero Universo come un enorme gatto di Schrödinger, e verificare se un modello siffatto fosse compatibile con quello che osserviamo. Proviamo a capire come.
I limiti della meccanica quantistica e della relatività generale
La fisica moderna poggia su due grandi pilastri, gettati entrambi nella prima metà del secolo scorso. La meccanica quantistica, che con le sue leggi descrive il comportamento di onde e particelle su scale spaziali microscopiche, e la relatività generale, che spiega il comportamento della gravità in termini di una sorta di deformazione dello spazio-tempo, la struttura quadridimensionale in cui siamo immersi. Separatamente, meccanica quantistica e relatività generale funzionano alla perfezione, ed entrambe sono state (e continuano a essere) verificate sperimentalmente con precisione sempre maggiore; il problema è che quando i fisici provano a inserirle in un unico quadro teorico, ad armonizzarle in una teoria più generale che descriva anche la gravità in termini quantistici, le cose smettono di funzionare. Al momento, la quantizzazione della gravità è uno dei problemi irrisolti più importanti della fisica: ed è per questo che ogni piccolo passo in questa direzione è salutato con grande entusiasmo dalla comunità dei fisici. La meccanica quantistica postula (tra le altre cose) che un oggetto fisico possa esistere in una combinazione – o più precisamente sovrapposizione – di più stati diversi: per esempio può trovarsi in più posizioni o avere diverse velocità nello stesso momento. Questo fenomeno viene descritto da una funzione di probabilità, la cosiddetta funzione d’onda, in cui (parlando rozzamente) a ciascuno stato di questa miscela, di questa sovrapposizione, è associata una certa probabilità. Inoltre, un sistema quantistico è estremamente sensibile alle perturbazioni esterne, prima fra tutti l’osservazione: nel momento in cui si osserva un sistema quantistico, questo “collassa” su uno stato particolare e da quel momento in poi ogni sua variabile ha solo il valore osservato nella misura: tale fenomeno si chiama collasso della funzione d’onda.
Il paradosso di Schrödinger
Il fisico tedesco Erwin Schrödinger si è servito di un esempio diventato poi famosissimo per illustrare questo paradosso, paragonando un sistema quantistico a un gatto chiuso in una scatola a cui è collegato un dispositivo potenzialmente letale: se una certa sostanza esegue un decadimento radioattivo, questo fenomeno rompe una boccetta di veleno che provoca la morte del gatto. Dal momento che il decadimento radioattivo è un fenomeno quantistico, in virtù di quanto dicevamo sopra il gatto si può considerare (paradossalmente) vivo e morto allo stesso tempo finché qualcuno non guarda dentro la scatola, ossia compie una misura sul sistema. Ora, tutto questo è stato in realtà già riprodotto su scala macroscopica: lo scorso anno, un’équipe di ricercatori dell’Eth di Zurigo ha ricreato una versione dell’esperimento in cui il gatto è sostituito da un cristallo oscillante, la sostanza radioattiva è sostituita da un circuito superconduttore e il marchingegno che collega il gatto alla sostanza radioattiva è uno strato di materiale piezoelettrico in grado di generare un campo elettrico quando il cristallo cambia forma mentre oscilla. Con questo setting, i ricercatori hanno osservato che effettivamente il cristallo oscilla in due diverse direzioni contemporaneamente (ossia è in una sovrapposizione di stati, ossia è allo stesso tempo vivo e morto) finché non si compie una misura, facendo collassare il sistema su uno dei due stati.
Un gatto sempre più grande
Qui entra in gioco il lavoro di Carlesso e colleghi. L’idea, come dicevamo all’inizio, è quella di avvicinare le leggi dell’infinitamente piccolo a quelle dell’infinitamente grande, ossia meccanica quantistica a relatività generale e cosmologia. Ossia, in altre parole, di provare a capire se e come è possibile “quantizzare” l’intero Universo. “Volevamo provare a studiare un Universo supponendo che ‘nasca’ come un entità quantistica, cioè una sovrapposizione di diversi stati – in particolare una sovrapposizione di diverse possibili geometrie dello spazio-tempo – ci spiega lo stesso Carlesso – e comprendere se fosse possibile applicarvi un ‘modello di collasso’ che spiegasse il fatto che a un certo punto l’Universo ha assunto una sola di queste possibili geometrie, quella che osserviamo adesso”. Insomma, lo studio appena pubblicato discute la possibilità di trattare l’intero universo come un enorme gatto di Schrödinger.
“L’idea di avvicinare meccanica quantistica e cosmologia, in realtà, non è una nostra invenzione – ci dice sempre lo scienziato – ma piuttosto una strada che la comunità scientifica sta battendo da tempo”. Nel 1967, i fisici John Archibald Wheeler e Bruce DeWitt proposero un primo tentativo di quantizzazione della relatività generale, formalizzato nell’equazione che porta il loro nome e la cui soluzione è stata chiamata funzionale d’onda dell’Universo. Tuttavia, quest’equazione ha un grande problema con il tempo, che nel dominio della meccanica quantistica è “universale” e “assoluto”, mentre nel dominio della relatività generale è, per l’appunto, “relativo”. Carlesso e colleghi hanno provato a supporre che la funzione d’onda dell’Universo fosse effettivamente quella dell’equazione Wheeler-DeWitt, aggiungendo però una correzione all’equazione di Schrödinger per renderla compatibile con un collasso periodico dell’Universo a intervalli periodici. “Abbiamo mostrato – ci dice Carlesso – che effettivamente scegliendo in modo opportuno il termine di collasso dell’Universo otteniamo un modello matematicamente coerente, anche se alcuni aspetti si possono ancora migliorare, e che in questo scenario l’Universo effettivamente nasce quantistico e poi collassa nello stato attuale”.
Tutto finisce nella costante cosmologica
Cosa vuol dire “stato attuale”? I ricercatori si riferiscono alla geometria dello spazio-tempo che effettivamente osserviamo, quella prevista dalla relatività generale di Einstein e dai modelli cosmologici. Una geometria in cui l’Universo è “cucito” su un tessuto a quattro dimensioni, lo spazio-tempo, e soprattutto in cui l’Universo è in espansione: e questa espansione è espressa matematicamente da un altro parametro, la cosiddetta costante cosmologica – un’entità dalla storia particolarmente travagliata: inizialmente introdotta da Einstein come “correzione” delle sue equazioni, poi abiurata come “il più grande errore” della sua vita, infine riabilitata diversi decenni più tardi. Ecco, l’equazione “modificata” da Carlesso e colleghi ha come soluzione un Universo che collassa su una certa costante cosmologica, ossia “fissa” una determinata struttura dell’Universo. Ora viene la parte difficile, cioè dimostrare tutto questo: “Testare il modello è impossibile: non possiamo ‘copiare’ l’Universo ed eseguirvi delle misure” conclude lo scienziato “Tuttavia è possibile mettere a punto dei modelli sperimentali che permettono di verificare questa ipotesi: un approccio è una versione del cosiddetto esperimento della doppia fenditura in cui si cerca di capire a quale scala avviene la transizione da leggi quantistiche a leggi classiche; un altro prevede lo studio della vibrazione di oggetti [come nel caso dell’esperimento con i cristalli descritto in precedenza, nda] tra cui, per esempio, gli specchi dell’interferometro Ligo, quello con cui abbiamo osservato le onde gravitazionali. Fino a dieci anni fa non avevamo la tecnologia per pensare questi esperimenti, oggi è possibile”.
Fonte : Wired