Elly Schlein firma per il referendum contro il jobs act e spacca il Pd

“Ho già detto che molti del Pd firmeranno così come altri non lo faranno. Io mi metto tra coloro che lo faranno. Non potrei fare diversamente visto che è un punto qualificante della mozione con cui ho vinto le primarie l’anno scorso”. Lo ha dichiarato Elly Schlein, segretaria dem, a margine della festa dell’Unità di Vecchiazzano a Forlì, parlando del banchetto della Cgil locale. E il riferimento è al referendum promosso dal sindacato per abolire di fatto il jobs act renziano.

Le reazioni all’interno del Pd non si sono certo fatte attendere e non sono tutte concilianti o entusiaste. 

Le reazioni del Pd e delle altre forze politiche all’annuncio della segretaria

 “Se proprio voleva fare questa forzatura poteva farlo prima di Conte. Rimango contraria. In molti come me”. Così l’ex ministra dem Marianna Madia, boccia la decisione della segretaria Schlein.

 “Io sarò tra quelli che non firmeranno il referendum sul Jobs Act. Noi abbiamo sempre considerato più utile guardare avanti e concentrarci sulle cose utili a migliorare le condizioni dei lavoratori, specie dei giovani, per esempio la proposta sul salario minimo che condividiamo pienamente. Mi sembra più proficuo elaborare idee e proposte in positivo, semmai unendo tutto il partito, anziché procedere guardando allo specchietto retrovisore”. Rincara la dose Piero De Luca, coordinatore dell’area Bonaccini del Pd.

E a gettare benzina sul fuoco arriva anche Matteo Renzi, premier dem al tempo del varo della riforma del lavoro del 2015: “Elly Schlein firma i referendum contro il JobsAct – ha scritto sui social -. La segretaria del PD firma per abolire una legge voluta e votata dal PD. Finalmente si fa chiarezza. Loro stanno dalla parte dei sussidi, noi dalla parte del lavoro. Amici riformisti: ma come fate a restare ancora nel PD?”. 

Di diverso avviso invece l’intervento di Giuseppe Conte. “Sono stato a Portella della Ginestra, c’era la Cgil che raccoglieva le firme. Era la prima occasione che si è presentata e ho firmato per i referendum”. Lo ha detto il presidente del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, a margine di un incontro con i candidati per le amministrative di Bari, riferendosi alla firma apposta lo scorso primo maggio al referendum promosso dal sindacato contro il Jobs act. “Non si tratta di qualcosa di nuovo per il Movimento 5 Stelle – ha aggiunto – quando siamo stati al governo abbiamo adottato il decreto dignità contro la precarizzazione, abbiamo iniziato a smontare il Jobs act, che ha creato lavori sempre più precari e ha favorito la moltiplicazione dei contratti a tempo determinato”.

Su cosa vertono i 4 referendum promossi dalla Cgil

I referendum promossi dalla Cgil mirano essenzialmente a smontare l’impianto teorico del jobs act e sono quattro. Cosa prevedono? Andiamo con ordine

Il primo quesito mira a smontare il vero e proprio impianto teorico del jobs act, ovvero il contratto a tutele crescenti. Tutti i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 da un’azienda con più di 15 dipendenti possono essere licenziati anche se non c’è giusta causa o giustificato motivo soggettivo od oggettivo. In questo caso non esiste infatti per l’azienda l’obbligo di reintegrare il lavoratore, ma solo di indennizzarlo su base economica, a seconda degli anni di servizio prestati in azienda. Con l’abolizione del primo cardine si chiede quindi di procedere al reintegro dei lavoratori licenziati senza giusta causa. 

Il secondo quesito mira ad abrogare la norma che mette un limite all’indennizzo che è di 6 mensilità, maggiorabile dal giudice fino a 10 mensilità, nel caso delle aziende con personale inferiore ai 15 dipendenti. 

Il terzo quesito mira invece a reintrodurre le causali nei contratti a termine, per limitarne l’utilizzo. Il quarto è infine relativo agli appalti e sulla responsabilità del committente sugli infortuni, tema di stretta attualità data la scia quotidiana di morti bianche.

Fonte : Today