In dieci anni potremo prevenire l’invecchiamento, restituire la salute alle cellule malate, invertire il corso delle malattie. Lo dicono Premi Nobel e scienziati di primissimo livello che lavorano per Altos Labs, una delle startup più finanziate del Pianeta. Nata nel 2021 nella Bay Area, grazie a 3 miliardi di dollari (tra gli investitori sembra esserci anche Jeff Bezos), intorno a un’idea meravigliosa: migliorare quella che in inglese si chiama healthspan. Che è quel periodo della vita in cui viviamo in buona salute.
Tra loro, a capo di un gruppo di ricerca, c’è un italiano. Simone Bianco, 45 anni, laureato in fisica all’università di Pisa, con una carriera incredibile, in cui ha preso rischi, ha combinato discipline diverse, raccolto successi e riconoscimenti.
“La sfida di Altos Labs è estremamente affascinante. Lavoriamo con enormi fondi a disposizione e grande libertà di fare ricerca. L’obiettivo non è eliminare l’inevitabile, la morte o l’invecchiamento. Come specie, viviamo già molto più a lungo di quanto dovremmo. Negli anni trenta si moriva a 30 anni per un ascesso o di parto. Oggi grazie alla scienza e alla medicina viviamo in media oltre gli 80 anni (87 circa per le donne) ma gli ultimi vent’anni dalla vita li passiamo con acciacchi di vario tipo. Da problemi minori a problemi più grandi. Ecco noi lavoriamo per migliorare questi anni, per contrastare le malattie. E ripristinare la salute”.
Bianco in Altos ha un doppio ruolo. È Principal Investigator, ossia capo di un gruppo di ricerca, e Director of Computational Biology. Combina la biologia con l’ingegneria, unisce la fisica all’informatica, in particolare l’intelligenza artificiale. Il suo è un approccio computazionale alla biologia sintetica. Ingegnerizza cellule, cerca il design perfetto per una cellula per fargli fare quello che vuole, cioè renderla più resistente all’invecchiamento.
La tecnica è quella della riprogrammazione cellulare parziale.
“Facciamo una piccola disgressione storica. La riprogrammazione cellulare non è una tecnica nuova, esiste fin dagli anni ’60. Ma intorno al 2000 è iniziata la svolta. In quegli anni, il medico giapponese Shin’ya Yamanaka ha scoperto che attivando 4 geni, che oggi vengono chiamati Yamanaka Factors, si porta qualsiasi cellula del nostro corpo dallo stato in cui si trova a uno stato pluripotente. Si chiamano cellule staminali pluripotenti indotte. Per questa scoperta, Yamanaka ha vinto il Premio Nobel per la medicina nel 2012. Ma il problema di questa scoperta, fondamentale per la biologia, è che quando viene traslata in vivo, ossia si tenta di usarla per scopi terapeutici, le conseguenze sono una specie di tumori multitessutali, i teratomi.
Nel 2016, però, Juan Carlos Belmonte, ricercatore di fama mondiale e oggi direttore della divisione di San Diego dell’Altos Institutes of Science, ha fatto un ulteriore passo avanti. Ha scoperto che se questa riprogrammazione cellulare è parziale, ossia se viene fermata prima che la cellula diventi una cellula staminale, allora si riescono a cancellare tutti gli effetti dell’invecchiamento (i cosidetti aging hallmarks) e si provoca un ringiovanimento dell’organismo, però senza tumori. Parliamo per ora sempre di effetti sui topi.
Su questo “partial reprogramming” è nata Altos Labs e un nuovo movimento scientifico che usa gli “Yamanaka factors” per fermare l’invecchiamento.
A che punto siamo, quanto tempo ci vorrà? “Non so dirlo, la speranza è che potremo avere queste terapie in un tempo ragionevolmente corto, entro 10 anni, ma è impossibile dirlo ora”.
45 anni, di Taranto, Bianco si laurea in fisica a Pisa, poi fa un dottorato a Dallas in Texas. “Avevo un amico matematico, gli ho dato la mia tesi per avere un suo feedback. L’ha girata a Paolo Grigolini, professore in Texas e dirigente del CNR di Pisa che mi ha scritto: “Ho una posizione per un dottorato da ricercatore, vuoi venire?”. Io mi sono detto: quando mi ricapita di andare negli Stati Uniti? Era molti anni fa, non sono più tornato”.
Durante il dottorato, lavora per tre anni sui nanomateriali. Dal Texas passa in Virginia, al College of William and Mary, in collaborazione con l’ufficio di ricerca della Marina Militare Americana (US Naval Research Lab), a Washington. Qui si appassiona alla biologia e alle neuroscienze Inizia a occuparsi di malattie infettive e rare. “Da quel momento non ho più lasciato la biologia”. Poi passa all’Ospedale dell’Università della California, lavora sul cancro e si avvicina alla biologia cellulare. Qui sviluppa una nuova generazione di vaccini contro la poliomelite. “Questa nuova generazione di vaccini si basa su cinque modificazioni genetiche del virus della polio. Ero responsabile di due di queste cinque modificazioni. Il vaccino è stato preso dalla Gates Foundation, è entrato in clinical trial e poi utilizzato. La soddisfazione che ho provato è stata immensa. Non sono un medico, non sono un biologo, sono un fisico, è difficile da descrivere quello che si prova quando hai un impatto così forte sulla salute dei bambini. D’allora quella è rimasta una delle mie ragioni di vita…”
E ancora: nel 2014 passa in IBM Ricerca e diventa il capo della task force contro l’Ebola. Vince un grosso grant del governo americano: 50 milioni dalla National Science Foundation per fare biologia sintetica usando intelligenza artificiale, matematica e fisica. “Sono stati anni bellissimi. In IBM mi hanno trattato molto bene, mi sono sempre sentito al centro di un progetto. E quando ti senti al centro di un progetto in IBM, è come essere al centro del mondo. Eppure quando è arrivata la chiamata di Altos Labs, ho rinunciato a tutto: soldi, gloria, carriera, team, campo in cui ero particolarmente riconosciuto, per ripartire da zero e avere un impatto sulla vita delle persone”.
Si cambierà il modo di fare medicina? “Passeremo dal farmaco che forse salva la vita al farmaco che di sicuro rallenta l’insorgere delle malattie. La medicina non sarà più reattiva o preventiva, ma proattiva. È il motivo per cui mi alzo ogni mattina e vado felice al lavoro. Mi confronto con centinaia di scienziati ed è una cosa che non cambierei per niente al mondo”.
L’anima di Altos Labs è Rick Klausner, founder e Chief Scientist. “È una persona fenomenale. Per più di 30 anni è stato uno dei del National Institute of Health e per 6 anni direttore del National Cancer Institute degli Stati Uniti. Poi ha creato con Bill Gates la Gates Foundation, di cui è stato il primo direttore. Ci è rimasto 5 anni, poi è stato Chief Medical Officer dell’azienda biotech Illumina, che è la più grande compagnia del mondo in questo settore. Ne ha fondate altre due prima di Altos, che è il suo crowning achievement, la sua scommessa più grande.
“Tra i finanziatori ufficiali, c’è Robert Nelsen di Arch Venture Partners. Nell’edificio a fianco al mio c’è Peter Walter, che ha vinto tutto quello che c’è da vincere. Gente che ha fatto la storia della scienza. Nel nostro board ci sono quattro Premi Nobel”.
Come ci si sente quando si arriva in un punto così alto della carriera? “Io non mi considero arrivato. Ho una fortissima Impostor’s Syndrome (la sindrome dell’impostore è quella condizione psicologia che induce a credere di non meritare i successi ottenuti ndr). Lavoro tantissimo perché mi sembra di non aver fatto nulla. Penso al professore della mia tesi, Roberto Renò, che mi diede un consiglio che non ho mai dimenticato: “Quando andrai in Texas, ricordati che non sei speciale. Ci sono centinaia di persone più brave di te. La differenza tra te e loro è quanto lavori. Devi lavorare, più degli altri…”.
“Una volta qui, mi sono reso conto dello sforzo immenso che fa chi arriva ad Altos Labs. Ti faccio l’esempio dei ricercatori cinesi. Per arrivare al top, hanno studiato nelle migliori università: l’Università di Pechino, la Normale o alla Tsinghua University. Hanno lavorato il triplo di quanto ho dovuto lavorare io. Hanno una cultura del lavoro incredibile, un senso di profonda competizione. E quando ti confronti con queste realtà, capisci che il talento è soltanto una parte di quello che hai. Se poi non lavori per sfruttare questo talento, tanto quanto lavorano loro, non arrivi. Il talento da solo non basta”.
Talento, tantissimo lavoro, moltissimi articoli scientifici, un TED visto da oltre un milione di persone. E un sacco di rischi.
“Se guardo indietro, vedo che ho rischiato tanto, sempre. Sono venuto negli Stati Uniti in una piccola università della provincia del Texas. Non sono andato ad Harvard o a Stanford. Ho lasciato la fisica, per cui ho studiato tanti anni, per passare alla biologia. Sono passato dai virus alle cellule. Dall’università all’industria. Eppure non ho rimpianti. Nemmeno quello di non essere entrato ad Harvard come post-doc, dove avevo fatto una interview. Da un’azienda tech sono entrato in una pharma company, dove nessuno parla il mio linguaggio. Avevo offerte da università prestigiose: la Duke University, l’University of Michigan, ma ho preferito cambiare tutto per far qualcosa che avesse un impatto sulla vita delle persone”.
Cos’è la scienza per te? “È capire il mistero che c’è dietro a tutto quello che ci circonda. E cercare di utilizzarlo per migliorare la condizione umana”.
Ci stiamo riuscendo? “Sì, credo di sì. L’intelligenza artificiale applicata alla biologia è un enorme opportunità. La scienza e la tecnologia in sé non sono né buone né cattive, ma possono essere applicate anche per cose negative. Quando penso alla proliferazione nucleare, alle armi nucleari e all’avanzamento bellico non dormo la notte. Ma al netto di tutto questo, credo che la scienza sia ancora qualcosa di estremamente positivo”.
Papà di due gemellini di 5 anni, nati in America, ma cittadini italiani, per loro Bianco sogna l’Italia. “Sogno che, a un certo punto della loro vita, vogliano venire a studiare in Italia. Per conoscere profondamente la nostra cultura. Non ho mai lavorato nel nostro Paese, ma l’Italia mi ha dato moltissimo”. Per restituire, Bianco ha avviato una collaborazione con l’Università di Bari, dove Altos sta finanziando un dottorato. “È un mio modo di tornare. Cosa che, prima o poi, farò. Anche per far capire ai miei figli il valore di un abbraccio. Lo sai che negli Stati Uniti all’asilo ti insegnano a rispettare il personal space?”.
Fonte : Repubblica