Economisti in confusione sullo stato di salute dell’economia italiana. “Sono tempi incerti per l’economia, difficili per gli economisti”, ammette Confindustria nella sua ultima analisi sulla Congiuntura Flash. Il doppio record sugli occupati a tempo indeterminato, infatti, sembra non concordare troppo con la crescita modesta del prodotto interno lordo. Dagli esperti giungono quattro possibili spiegazioni a questo strano fenomeno, ma anche nel migliore dei casi compaiono ombre inquietanti sulla sostenibilità del debito pubblico italiano. Andiamo per ordine.
Più lavori a tempo indeterminato ma meno ore lavorate
In Italia stiamo assistendo a qualcosa di davvero inusuale, almeno economicamente parlando: un prodotto interno lordo debole abbinato a un’occupazione in crescita. Solitamente c’è una forte concordanza. Eppure l’istituto nazionale di statistica ha da poco comunicato un doppio record positivo nel mercato del lavoro. A febbraio gli occupati a tempo indeterminato hanno registrato il dato mensile più alto degli ultimi 20 anni, il più alto di sempre se paragonato all’anno precedente (nella foto sotto la crescita degli occupati in Italia). Le stime sul Pl invece restano deboli, al +1 per cento secondo il governo. Cosa sta succedendo?
Una cosa è certa: l’Italia sta creando lavoro stabile, segno che le imprese sono ottimiste sul futuro dell’economia. Ma questo non necessariamente vuol dire lavoro di qualità. Ad appannare i dati record sugli occupati a tempo indeterminato il numero di ore lavorate per dipendente, rimaste in media sotto i livelli del 2019. Meno ore di lavoro, infatti, vogliono dire stipendi più bassi.
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Questa volta però il mercato del lavoro non è ‘drogato’ dai contratti precari. Ma se l’occupazione a tempo indeterminato non viene pagata abbastanza vuol dire che contribuisce poco alla crescita economica della nazione. Lavori di scarsa qualità, infatti, non riescono a compensare i fattori depressivi della crescita, almeno non tanto quanto i contratti a tempo pieno pagati bene.
Problema stipendi
L’ipotesi sul lavoro di scarsa qualità trova conferma nel Documento di economia e finanza (Def): “Un altro fattore da prendere in considerazione riguarda la distribuzione settoriale degli incrementi di occupazione, che dal recupero post-pandemico si sono concentrati soprattutto in settori ad alta intensità di lavoro e basso valore aggiunto”, si legge nel documento del governo riferendosi principalmente al commercio e alla ristorazione.
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“Pertanto, una spiegazione plausibile della outperformance del mercato del lavoro rispetto al Pil risiede nel considerare congiuntamente il divario di crescita dell’occupazione tra i settori dell’economia e un graduale, generalizzato incremento del labour hoarding tra i settori”, concludono gli economisti del ministero dell’Economia. Dove per labour hoarding s’intende quella strategia utilizzata dalle imprese in fasi di temporanea debolezza dell’attività che porta a evitare i licenziamenti per proteggersi dal rischio di non trovare manodopera nel momento in cui ci sarà una ripresa della domanda. Proviamo a capire meglio.
Primi effetti demografici sul mercato del lavoro
La concausa del labour hoarding menzionata nel Def rimanda a un problema molto più grande con cui l’Italia avrà sempre più a che fare negli anni a venire, la denatalità. “Il labour hoarding in Italia potrebbe essere rafforzato da difficoltà di reclutamento legate a fattori demografici (la graduale diminuzione della dimensione delle coorti della popolazione in età lavorativa) e dai notevoli deflussi di personale qualificato che il Paese ha subìto in anni recenti”, spiegano gli esperti del governo.
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Ed ecco quindi i primi documentabili effetti dell’inverno demografico: “Un elefante nella stanza che in molti fanno finta di non vedere” aveva detto in un’intervista a Today.it l’economista Riccardo Trezzi. Per l’esperto che ha lavorato per la Fed e la Bce però alla base dell’andamento non proprio parallelo tra occupazione e Pil ci sarebbe un dato sottostimato, quello del prodotto interno lordo.
Dubbi sul pil
La guerra in Ucraina, la crisi del Mar Rosso, le ostilità in Medio Oriente stanno frenando la crescita economica italiana ma secondo alcuni economisti, Trezzi compreso, la stima del Pil italiano sarebbe più bassa della realtà, non volutamente naturalmente, “non sono un complottista” ha puntualizzato. Con una serie di post su X (ex Twitter) l’economista ha dimostrato utilizzando i dati contenuti nel Def che l’economia italiana “è andata sopra il suo potenziale”. Partendo da un confronto tra indebitamento tendenziale e strutturale per passare poi all’output gap, argomenti molto tecnici di non facile comprensione, ha provato con numeri alla mano che la produzione effettiva sta superando quella potenziale o meglio che stiamo producendo più di quanto potremmo fare stabilmente nel lungo periodo. In pratica stiamo sfruttando a pieno le capacità produttive a nostra disposizione ecco perché l’occupazione è ai massimi. Secondo l’economista però questo sprint verrà certificato dall’Istat solo tra qualche mese, in occasione di una revisione dei dati.
“Negli ultimi anni le revisioni del pil sono state abbastanza ampie”, ha sottolineato anche Confindustria. Dello stesso avviso gli economisti del governo: “In prospettiva, tenendo conto delle recenti correzioni al rialzo apportate dall’Istat – tra cui quella registrata nel settembre scorso, quando il pil del 2021 è stato rivisto al rialzo rispetto alla release precedente in misura inusitata (all’8,3 per cento, dal 7,0 per cento) – non sono da escludere ulteriori revisioni in futuro – spiegano nel Def -. Ciò contribuirebbe a riportare la relazione tra dinamiche occupazionali e crescita del pil maggiormente in linea con quanto osservato in media negli ultimi decenni”. Ma se così fosse ci sarebbe poco da gioire, “perché data la posizione ciclica favorevole, allora dovremmo avere un deficit molto più basso” ha chiosato Trezzi (nella foto sopra il post su X).
L’ipotesi Bankitalia
Ma c’è un’altra opzione su cui riflettere, quella avanzata da Bankitalia. Secondo gli esperti di via Nazionale dietro all’andamento non lineare tra occupazione e pil potrebbe esserci un ritorno alla manualità nelle imprese. In che senso? Per risparmiare sui maggiori costi dell’energia le aziende starebbero aumentando l’occupazione per far fare ai lavoratori quello che prima facevano le macchine. Un ritorno al passato, dunque. Questa ipotesi giustificherebbe non solo la debolezza del pil ma anche il calo della produttività registrato dal 2021 a oggi.
Ma allora l’economia italiana è in salute oppure no? Anche su questa risposta gli economisti sembrano non allinearsi, proprio come l’ormai famosa curva occupazione-pil (nella foto sotto il grafico).
Fonte : Today