Torino – È nucleare una delle parole più ricorrenti al G7 su clima, ambiente ed energia organizzato dall’Italia alla reggia di Venaria, alle porte di Torino. E il Governo chiude uno degli appuntamenti del forum intergovernativo che riunisce alcune delle grandi potenze economiche mondiali (oltre all’Italia, Stati Uniti, Francia, Germania, Canada, Regno Unito e Giappone) insistendo sulla via del ritorno all’atomo, sbandierata dall’esecutivo Meloni da 18 mesi.
A parole, il governo italiano ha fatto del nucleare il punto fermo della sua visione in materia di energia, con l’obiettivo di uscire dalle fonti fossili, assicurare indipendenza energetica e bilanciare la produzione delle rinnovabili. Nei fatti, però, manca una strategia chiara. Tutto, al momento, è collocato in un indefinito futuro prossimo venturo.
Sul fronte degli annunci, al G7 il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica (Mase), Gilberto Pichetto Fratin, ha confermato l’adesione italiana all’Alleanza industriale europea sui piccoli reattori modulari (Small modular reactors, smr, un nuovo tipo di reattori), varata dalla Commissione a febbraio con l’obiettivo di investire nella ricerca del settore per avere i primi prototipi pronti nel 2030. Sempre nel suo Piemonte il ministro forzista ha anticipato che nel Piano energia e clima (Pniec), un documento che il governo deve consegnare alla Commissione europea entro giugno per fissare gli impegni nazionali sul tema, verrà inserito uno scenario al 2030-2050 con una quota di produzione di energia da nucleare, calcolato con dati storici e proiezioni statistiche. Lo stesso documento cita quattro progetti di sperimentazione in corso. Epicentro è l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea), che sta sperimentando un reattore con Newcleo, la più ambiziosa startp del settore e poi ha test insieme ad Ansaldo Nucleare e operatori stranieri del settore, tra cui Westinghouse e Rolls Royce.
Il dietro le quinte del nucleare “tricolore”
Ma come si passa dalle parole ai fatti? A fornire le idee dovrebbe essere la Piattaforma nazionale sul nucleare sostenibile, un gruppo di esperti nominato lo scorso settembre per elaborare una strategia del settore. Stando al documento, il team avrebbe dovuto fornire entro tre mesi (quindi Natale) una ricognizione del settore, entro sei mesi una raccolta di proposte (marzo), sette mesi (aprile) la strategia di azione ed entro nove mesi la lista pratica delle attività da intraprendere. Sembra però che finora, a detta dello stesso ministro, siamo ancora fermi al primo capitolo. Una ricerca che diventerà, molto probabilmente, un rapporto esplorativo. A quel punto toccherà passare dalle parole ai fatti: decidere se il nucleare si vuol fare per davvero, con quali tecnologie, tempi e costi. Il ministero ha nominato un consulente legislativo, il costituzionalista Giovanni Guzzetta, che dovrà indicare gli interventi normativi per preparare il terreno al ritorno all’atomo. Ma nel complesso siamo lontani, insomma, da un piano strutturato per investire sul nucleare. A una distanza di sicurezza in periodo elettorale.
Anche perché l’Italia dovrà risolvere nel frattempo una grana che tutti i governi nascondono sotto il tappeto: la costruzione del deposito nazionale delle scorie nucleari. Un progetto che accumula sempre più ritardi. Compresi quelli provocati dalle scelte del governo Meloni. Pichetto Fratin, consapevole che le 67 località designate dall’iter di legge si erano tutte opposte a ospitare l’impianto, che a regime dovrà ospitare i 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media intensità e stoccarne temporaneamente 17mila ad alta intensità, aveva ottenuto una modifica del gioco per valutare auto-candidature. Peccato che l’unico Comune al di fuori della lista dei 51 papabili, Trino Vercellese, in Piemonte, dove già sorge un’ex centrale atomica e dove sono stoccate temporaneamente alcune scorie, a metà marzo abbia ritirato la sua proposta di accogliere l’impianto, avanzata il 12 gennaio scorso, dopo fortissime politiche, locali e nazionali. Risultato: il processo per individuare il sito del deposito nazionale è tornato alla casella di via. E al coro di no che si è levato dalle 51 località designate.
Fonte : Wired