Il 18 aprile scorso, Meta ha svelato la sua IA più avanzata. Si chiama Llama 3 ed è composta – per ora – da due modelli. Uno si avvale di 7 miliardi di parametri. L’altro, più grande, ne prevede 80.
I parametri di un’intelligenza artificiale, vale la pena ricordarlo, sono dei valori numerici che indicano – in linea di massima – le prestazioni di un modello. Più un determinato modello ha parametri, più è complesso e capace di generare risposte accurate.
Meta sostiene che Llama 3, in alcuni benchmark test (le prove utilizzate per misurare le prestazioni di un sistema), è superiore a modelli di intelligenza artificiale come Gemma e Gemini (sviluppati da Google), Mistral 7B (sviluppata dalla francese Mistral) e Claude 3 (sviluppata dalla statunitense Anthropic).
Nel lungo post con cui Meta ha annunciato Llama 3, non viene mai menzionato Gpt-4, il modello di intelligenza artificiale sviluppato da OpenAI che è alla base di ChatGpt. E che, ancora oggi, rappresenta la tecnologia da battere.
Non sono chiari – o meglio non sono mai stati svelati ufficialmente – i parametri di Gpt-4. Ma si parla di 1,76 trilioni di parametri. E nel giro di qualche mese – sostengono gli addetti ai lavori – OpenAI presenterà Gpt-5, un modello ancora più avanzato.
Nella corsa all’IA generativa, dunque, Meta a prima vista è ancora indietro.
Mark Zuckerberg, nei giorni scorsi, ha annunciato anche un modello di Llama 3 da 400 miliardi di parametri. Che però è ancora in fase di test.
Ma in questo momento il fondatore di Facebook, nonché Ceo di Meta, non vuole essere il primo della classe. Né, incredibilmente, è interessato a vendere la sua intelligenza artificiale.
Per ora infatti l’IA di Meta è totalmente open source. Questo vuol dire che chiunque può accedere, visualizzare, modificare e ridistribuire il codice sorgente di Llama 3.
Per fare un esempio, chi volesse usare LLama 3 per creare un nuovo chatbot capace di conversare in modo naturale con gli utenti – esattamente come fanno ChatGpt o Gemini – non dovrebbe pagare a Meta i costi di licenza della tecnologia che sta utilizzando.
Detto in parole povere: Zuckerberg ha regalato la sua intelligenza artificiale più potente a chiunque voglia usarla.
Ma perché lo ha fatto? Cosa ci guadagna?
Nonostante Meta possa vantare uno dei centri di ricerca sull’intelligenza artificiale più avanzati al mondo – il FAIR di Parigi dove lavorano talenti dell’informatica e delle neuroscienze – l’azienda guidata da Zuckerberg non è una no profit.
E nonostante a capo del FAIR ci sia Yann LeCun, uno dei paladini dell’open source nonché uno dei pionieri del deep learning e delle reti neurali su cui si basa la moderna IA generativa, Meta insegue il profitto come ogni big tech.
Tutti, in fondo, sbandierano ideali romantici. Ma poi, alla fine, contano i ricavi.
La stessa OpenAI, nata nel 2015 proprio come laboratorio no profit, sostiene di inseguire l’AGI – l’intelligenza artificiale generale – “per il bene dell’umanità”. Eppure si fa pagare profumatamente l’abbonamento a ChatGpt Plus – 20 euro al mese più tasse – e non ha rifiutato un investimento di 13 miliardi da parte di Microsoft, che ora detiene il 49% della startup di San Francisco.
Zuckerberg, invece, non si nasconde.
“Meta ha una lunga lista di software open source” ha detto Zuckerberg al podcaster Dwarkesh Patel dopo il lancio di Llama 3.
“Probabilmente il più importante nella nostra storia è stato l’Open Compute Project che ha reso open source la progettazione dell’hardware dei nostri server, degli switch di rete e dei data center” ha aggiunto il Ceo di Meta. “Il risultato è che ora l’industria ha adottato il nostro design come standard. Il che significa che le catene di fornitura si sono essenzialmente sviluppate intorno al nostro design e i volumi di produzione [di queste architetture hardware, nda] sono aumentati. Tutto questo ci ha fatto risparmiare miliardi di dollari [poiché maggiori volumi di produzione si traducono, solitamente, in costi più bassi per unità prodotta, nda]”.
“Spenderemo decine o centinaia di miliardi di dollari, o ancora di più più nel corso del tempo, per tutte queste cose – ha detto Zuckerberg riferendosi all’IA – Quindi se possiamo farlo in modo 10 volte più efficiente, risparmieremo miliardi o decine di miliardi di dollari. Già questo ha un valore. Soprattutto se ci sono altri modelli competitivi là fuori. Non stiamo regalando una sorta di vantaggio folle”.
Soltanto nel 2024, Meta ha in programma di spendere 40 miliardi di dollari nello sviluppo di intelligenza artificiale. È circa il doppio di quanto l’azienda ha investito negli ultimi cinque anni. Ed è una cifra in linea con quanto spenderanno Microsoft e Alphabet (la società madre di Google), i due principali concorrenti di Meta nella corsa all’IA.
Un esempio su tutti: entro la fine dell’anno, Meta potrà disporre di 340mila GPU H100 di NVIDIA, il chip prediletto da chi sviluppa l’IA generativa. Il costo di ognuna di queste GPU va dai 30mila ai 40mila dollari.
Sul bilancio, poi, pesano gli stipendi. La competizione per assicurarsi i talenti migliori, nel settore delle big tech, è sempre stata enorme. Con l’avvento dell’IA generativa, la situazione è peggiorata. I colossi della Silicon Valley sono disposti a pagare fino a un milione di dollari all’anno agli informatici che si occuperanno di sviluppare modelli di intelligenza artificiale.
Ma evidentemente ne vale la pena.
“Con i modelli più recenti [Llama 3, nda] non stiamo semplicemente creando un’intelligenza artificiale in grado di sviluppare nuovi prodotti per il mondo social e del commercio” ha detto Zuckerberg agli investitori, annunciando i risultati finanziari di Meta relativi al primo trimestre del 2024.
“In realtà credo che siamo arrivati a un punto tale di poter realizzare modelli all’avanguardia che ci permetteranno di diventare l’azienda leader nel campo dell’intelligenza artificiale – ha aggiunto Zuckerberg -. Questo ci apre a una moltitudine di nuove opportunità che vanno ben oltre quelle più immediate”.
L’ottimismo del Ceo di Meta si è scontrato, a Wall Street, con gli umori degli azionisti.
Nonostante i risultati positivi – crescono i ricavi anno su anno e crescono gli utenti delle varie piattaforme, da Facebook a Instagram – lo scorso 24 aprile Meta ha perso in borsa quasi l’11%, più di cento miliardi di dollari.
Come è possibile?
Evidentemente gli investitori ricordano bene cosa è successo l’ultima volta che Zuckerberg si è gettato a capofitto in una tecnologia “rivoluzionaria”.
L’ossessione per il metaverso costa ancora oggi a Meta perdite per diversi miliardi di dollari. E se ora l’azienda è in [ottima] salute si deve anche ai tagli spietati al personale che sono stati fatti nel 2023.
Quindi Zuckerberg – questa è la narrativa che prevale sui media americani – sarebbe stato “punito” per aver scommesso somme generose su una tecnologia che diventerà “un business enorme” ma che – è proprio il Ceo di Meta ad ammetterlo – “lo diventerà sul lungo periodo”.
Le big tech, in effetti, devono ancora trovare il modo di monetizzare su larga scala una tecnologia dai costi spaventosi. E questo, secondo alcuni, è il problema irrisolto che potrebbe portare alla formazione – e al conseguente scoppio – di una enorme bolla economica.
Lo stesso Demis Hassabis, il Ceo di Google DeepMInd, ha detto qualche settimana fa che l’attenzione spropositata di cui gode l’IA, in questo momento, potrebbe alimentare speculazioni e truffe come è avvenuto in passato con le criptovalute.
Eppure il mercato, in molti casi, sembra incurante.
Perplexity, il motore di ricerca potenziato dall’IA che vuole fare concorrenza a Google, è appena diventato un unicorno grazie anche agli investimenti di NVIDIA e Jeff Bezos. Eppure abbiamo visto che questa IA continua a fare errori grossolani che rendono il suo utilizzo problematico e discontinuo.
Microsoft, che ha speso tantissimo in IA e tanto spenderà ancora, al contrario di Meta è stata premiata da Wall Street dopo la diffusione dei risultati finanziari (molto positivi) del primo trimestre di quest’anno: +4% immediato.
Chi che ci rimette, in tutta questa storia, sembra essere proprio Mark Zuckerberg. Che in teoria è uno dei pochi a poter contare su una gigantesca fetta di consumatori pronta ad adottare l’intelligenza artificiale di Meta. E a offrire a Meta, gratuitamente, i dati di cui ha bisogno per addestrarla. Perché è così che funziona: le conversazioni degli utenti con i vari modelli di intelligenza artificiale vengono utilizzate, dalle big tech, per ampliare le capacità dei loro LLM [Large Language Models].
Nel mondo 3,24 miliardi di persone utilizzano almeno una delle piattaforme controllate da Meta, vale a dire Facebook, Instagram, Whatsapp o Messenger (dati Q1 2024). Molti di questi utenti possono già usare i modelli di Llama 3 per generare testi e immagini con quella che viene chiamata “Meta AI”.
Meta AI per ora è disponibile solo in inglese e solo in alcune aree del mondo. Gli Stati Uniti, per esempio. In Europa, invece, non si può ancora usare.
Chi ha provato l’intelligenza artificiale di Meta su Facebook o Instagram non ha scritto recensioni molto positive. Il New York Times, per esempio, sostiene che la Meta AI “è divertente da usare ma non è affidabile”. “Fatica con i fatti, con i numeri e con la ricerca sul web” ha sentenziato il quotidiano statunitense.
La testata Fast Company, invece, fa notare che la nuova intelligenza artificiale dell’azienda guidata da Zuckerberg è praticamente ovunque. Tanto da essere paragonata a una forma di “spam” che rende le applicazioni “inutilizzabili”. Su Instagram per esempio, nella barra per le ricerche dove solitamente si digitano i nomi degli account che si intende visitare, ora c’è un invito: “Chiedi qualsiasi cosa all’IA di Meta”.
Il giornalista di Fast Company, Scott Nover, si chiede anche che impatto avrà un simile strumento sulla società e il futuro delle democrazie: un nuovo flusso di immagini, potenzialmente fake, investirà infatti i social.
Ma Zuckerberg è convinto che questa è la strada giusta, e che l’IA al servizio delle piattaforme Meta darà – prima o poi – i suoi frutti.
Per questo il Ceo di Meta ha riorganizzato, recentemente, la struttura che si occupa di sviluppare l’intelligenza artificiale nell’azienda. Yann LeCun, direttore del FAIR, e Joelle Pineau, la vicepresidente del centro di Parigi, rispondono da inizio 2024 direttamente a Chris Cox, il responsabile dei prodotti di Meta. In precedenza i due rispondevano invece ad Andrew ‘Boz’ Bosworth, CTO di Meta nonché direttore della divisione Reality Labs.
L’IA in Meta viene vista, dunque, principalmente come una tecnologia al servizio dei nuovi prodotti basati su intelligenza artificiale generativa.
E Zuckerberg, presentando agli azionisti i risultati finanziari del primo trimestre del 2024, ha illustrato un piano che riguarda proprio lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Sulla carta sembra una strategia convincente che prevede almeno tre future tipologie di business.
Vediamole:
Il primo esempio di business riguarda i messaggi generati dalle IA che le aziende potranno usare per comunicare con i loro clienti sulle piattaforme social gestite da Meta.
Zuckerberg vede l’IA di Meta evolversi da un semplice chatbot a un “agente” dotato di intelligenza artificiale in grado di svolgere lavori complessi e di analizzare numerose domande al fine di risolvere i problemi degli utenti, invece di rispondere istantaneamente alle richieste con risposte predeterminate. Secondo Zuckerberg, questa è un’opportunità di business che si concretizzerà “sul breve periodo”.
In aggiunta a questa, il Ceo di Meta intende piazzare la pubblicità tra le interazioni degli utenti con l’intelligenza artificiale. Si pensi agli spot che interrompono le serie su Netflix, oppure la musica su Spotify. Ecco, gli annunci delle aziende che vendono scarpe, o occhiali per esempio, potrebbero apparire subito dopo la risposta di un chatbot a un utente che chiede consigli sull’abbigliamento
In fondo vendere spazi pubblicitari è proprio il principale business di Meta. Ma questa opportunità nasconde incognite e insidie: bisognerà vedere se le aziende si fideranno a legare il proprio nome – e la propria reputazione – a contenuti generati dall’IA che talvolta si possono rivelare inopportuni, violenti, diffamatori o razzisti.
Il terzo modello di business è quello che, paradossalmente, potrebbe rivoluzionare la filosofia open source su cui oggi punta Meta.
Meta in futuro potrebbe fare soldi, infatti, dall’utilizzo che sviluppatori e aziende faranno della sua IA. “Potremmo consentire di pagare per usare modelli di intelligenza artificiale più potenti che si basano su una potenza di calcolo maggiore” ha detto Zuckerberg.
Al di là degli affari, per il Ceo di Meta esistono altri motivi validi per cui Meta dovrebbe ambire a sviluppare la migliore intelligenza artificiale al mondo. Quello principale è sfuggire al predominio tecnologico dei competitor.
“Lo spiegherò con un’analogia – ha detto Zuckerberg al podcaster Dwarkesh Patel -. Nell’ecosistema mobile ci sono queste due società che controllano, Apple e Google, e che possono dirti cosa ti è permesso costruire. Molte volte abbiamo lanciato o volevamo lanciare nuove funzionalità e Apple ha detto semplicemente “no, non le lancerete”. Fa schifo, vero? Quindi la domanda è: siamo pronti per una cosa del genere con l’intelligenza artificiale? Anche in questo caso ci saranno una manciata di aziende che gestiscono modelli chiusi, che avranno il controllo e che quindi saranno in grado di dirti cosa puoi costruire?”.
“Allora vale la pena costruire un modello per assicurarci di non essere in quella posizione – ha aggiunto Zuckerberg -. Non voglio che qualcuno ci dica cosa possiamo costruire. Allo stesso modo molti sviluppatori non vogliono che le aziende dicano loro cosa possono costruire. Quindi la domanda è: qual è l’ecosistema che viene costruito attorno all’open source? Quali sono le novità interessanti? Quanto può migliorare i nostri prodotti? Penso che ci siano molti casi in cui otterremo preziosi contributi dalla comunità. Ne trarremo vantaggio e tutti i sistemi, i nostri e quelli delle comunità, saranno migliori perché sono open source”.
Fonte : Repubblica