Vi racconto la “sporca dozzina”, che ha cucito sul petto dell’Inter la seconda Stella

C’erano un armeno, un turco e un argentino. Suona come una barzelletta, ma dovessi raccontarvi la storia di questo Scudetto nerazzurro l’incipit sarebbe forse questo. Una sceneggiatura scevra dei numeri con cui si sbronza chi segue il calcio di oggi, tutto numeri e statistiche: goal fatti e subiti, chilometri corsi e debiti per strapagare calciatori sopravvalutati. Senza temere accuse di body shaming, tornerei alle facce come in un album della Panini. Non credete a chi scrive che avevano un destino da vincenti solo una volta che si è avuta la certezza del numero 20 sul petto. Ingolfata da debiti strepitosi, con il presidente Steven Zhang svanito in Cina, e San Siro destinato a chiudere i battenti senza che si sappia ancora dove traslocare, l’Inter arriva prima in una corsa che solo col senno di poi è parsa senza rivali. Ma quando è stato fatto il casting, la premiata e fino a pochi anni fa impensabile coppia Marotta&Ausilio ha avuto le mani legate, sempre a caccia di parametri zero da rivendere al miglior offerente (vedi Onana) e giocatori promettenti presi in prestito a peso d’oro nella speranza che sbocciassero in fretta. Ne è venuta fuori una “Sporca dozzina” (mister incluso), metà sulla rampa di lancio e l’altra metà da “Viale del tramonto”.

La vendetta del derviscio

A centrocampo trovate l’armeno Henrikh Mkhitaryan, dall’incredibile somiglianza con Pippo Franco. Consumato dalla noia di Mourinho in versione Cupolone, a 35 anni è rinato grazie alla criogenesi dell’allenatore Simone Inzaghi, che lo ha fatto talmente giocare, senza concedergli riposi né soste, escludendolo da ragionevoli turnover, che a San Siro gli han fatto una brandina a bordocampo per lasciarlo riposare almeno tra una partita e l’altra. Al suo fianco il volto da eterno guascone di Niccolò “Il Vichingo (in miniatura)” Barella, il sardo che stoppa gli attaccanti e stappa le difese avversarie con la stessa grazia con cui apre le amate bottiglie di vino. Da una trama degna di Kill Bill spunta infine Hakan Çalhanoğlu. Il talento ottomano, dopo le delusioni teutoniche, ha perseguito la sua rivincita contro l’ingratitudine milanista senza katane, ma sfoggiando una calligrafia di gioco con cui ha riscritto il ruolo dell’interno di centrocampo. Un derviscio rotante che alle trame di archi e cupole alterna rognosi interventi difensivi, facendosi trovare lì dove meno te l’aspetti.

Mkhitaryan-Inter-Milan

Il traditore e l’intellettuale

In attacco scoverete Lautaro Martínez, il Toro argentino appena uscito dalla telenovelas sudamericana Topazio. Sembrava destinato a partire alla prima offerta milionaria da Barcellona, Madrid o dalle succursali europee di Doha, invece nonostante l’espressione da traditore seriale è rimasto fedele alla Beneamata, s’è preso la fascia da capitano e la copertina da goleador. Ma quando calcia i rigori (e li sbaglia), riacquista una faccia perfetta per gli schiaffi di Amici miei. Per l’attacco la produzione pensava di ingaggiare un belga massiccio, ma al posto della serie “Cavallo di ritorno”, Lukaku ha preferito interpretare a Cinecittà il ruolo de “Il traditore”. Nel cast è apparso così il protagonista inatteso: Marcus Thuram. Presentato come il figlio d’arte (dello juventino Lilian), che però “non è un vero attaccante” e alla playstation preferisce la lettura, Tikus “l’intellettuale” ha messo a tacere i prevenuti mostrando gli attributi (in tutti i sensi) nei due derby alla prima stagione in Italia.

Una difesa da western

All’estremità opposta del campo: Yann “Lo Svizzero” Sommer. Classe 1988: c’è chi la chiama esperienza e chi anzianità di servizio. Allenandosi con occhiali spaziali, sembra uscito da un classico della fantascienza come Stargate. Invece di aprire la porta delle Stelle, l’ha sigillata con le sue parate. Nelle retrovie hanno pescato attori da western rivisitato: Il bello, il buono, il cattivo. Il bello: Benjamin Pavard, l’esistenzialista a rischio depressione in Germania, rinato fashion victim a Milano. Lo ricordiamo per un passo alla Billy Elliot con cui si attorciglia su se stesso e intercetta col ginocchio un gol sicuro di N’Zola della Fiorentina. Il buono: Alessandro Bastoni. Sembra fatto per indossare la casacca da Grifon D’oro e pur senza scopa volante, gioca a quidditch come Harry Potter, immolandosi per difendere la porta e servendo al contempo con eleganza il lancio lungo che i compagni trasformano in “boccino d’oro”. Il cattivo: Acerbi. Il difensore ex-Lazio scampato anni fa ad un cancro, di recente ha rischiato l’ergastolo in un caso di razzismo all’italiana, dove si condanna il peccato ma si assolve il peccatore. Era arrivato con le stigmate da vecchietto a fine carriera, ma si è tramutato in pilastro. Evangelico con quelle braccia levate al cielo prima di ogni fischio d’inizio, crudele come un personaggio da kolossal biblico nel goal di testa contro il Milan. 

I gemelli diversi sulle fasce

Sulla fascia sinistra incrocerete Federico “L’uomo col megafono” Di Marco. Amico dei Flinstones, con la fronte neandertaliana e il sinistro millimetrico da ingegnere, ha interpretato tutto il campionato con una perfetta controfigura: Carlos Augusto. Arrivato dal Monza (non dal Psg!), il brasiliano atipico macina la fascia al pari del suo alter ego, con cui condivide stempiature e carburante. Inzaghi li ha alternati senza soluzione di continuità, inventando per loro un apposito spin-off: “L’ora d’ala”, nel senso che tra il 60esimo il 70esimo è indispensabile alternarli, altrimenti son crampi.  Dall’altro lato si sono avvicendati due personaggi agli antipodi: Matteo Darmian, con l’espressione di Gian Maria Volonté e l’anima pronta ad ogni sacrificio, e Denzel “Senza sorriso” Dumfries, il poliziotto eternamente cattivo coi piedi degni di un ferro da stiro, da cui talvolta però escono cross da cannibale della fascia.

volonté-darmian

Inzaghi: da Sopravvissuto a Demone

In panchina Simone Inzaghi da Piacenza. Lo scorso anno dopo dodici sconfitte in campionato, aveva interpretato sia “Il Signore delle coppe” che “Il Sopravvissuto”. Un Moratti d’annata lo avrebbe esonerato ben prima di un’insperata finale a Istanbul. Nell’era cinese di Suning, in cui si fatica a pagare i debiti figuriamoci un allenatore che non lavora. Inzaghi è invece rimasto avendo il tempo di diventare “Il Demone”. Capello e savoir-faire impeccabile sui media, racchiude coi suoi complimenti a dismisura per tutti l’antitesi dell’egocentrismo contiano. Si narra che celi sotto un mantello invisibile pozioni e stregonerie in cui riversa ambizioni mai dome. Messo al bando il corto muso, ha osato nel calcio italiano le architetture impossibili di Zaha Hadid: curve sinuose annodano le fasce, inserimenti affilati e verticalità estreme. Negli stretti corridoi della costruzione dal basso ha inserito varchi di luce. 

La partita thriller

Dai titoli di coda attenzione alle comparse di lusso: il pugile Audero, l’inaspettato Klaassen, il figliol prodigo Arnautovic (che ha collezionato più maledizioni che gol), l’inutilizzato Buchanan, l’infortunato (in ritardo) Cuadrado, il giovane apprendista Asllani, il dimenticato Sensi, l’entusiasta Yann “Bisteccone” Bisseck, l’indomito leone Sanchez. Senza dimenticare Davide “Panchinaro di lusso” Frattesi, da Fidene alla Scala del calcio, passando per Sassuolo. Strapagato per giocare poco e niente, commentano i detrattori, ma è stato lui a decidere il finale nel memorabile “Thriller dell’Epifania” di Inter-Verona. Al minuto ’93, sull’1-1, intercetta un pallone scagliato da Barella e scivolato dalle mani del portiere Montipò. Appena subentrato, scova l’occasione e lesto insacca in porta. Non è finita. A seguire il rigore dello scaligero Henry, fregato da una zolla fetente di San Siro che devia il pallone sul palo e lascia i nerazzurri in vantaggio. È in quella partita che l’Inter si accorge di avere, oltre al talento e alla determinazione, la necessaria dose di culo. Da quel momento la “sporca dozzina” non si è più voltata indietro e ha seguito la direzione giusta: “Seconda stella a destra, questo è il cammino”. Per la colonna sonora, lasciate perdere il nuovo “inno” dell’Inter. Durante i festeggiamenti i giocatori ballavano solo questa.

 

Fonte : Today