“Non ci hanno visto arrivare”. Si presentò così Elly Schlein quando, tra lo stupore generale, vinse le primarie. Ora, a distanza di un anno, è assai probabile che, dopo le Europee, la vedremo andarsene da Largo del Nazareno.
Il bilancio della sua segreteria sembra miserrimo. Chiamata e risollevare le sorti di un partito che era uscito sconfitto dalle Politiche del 2022 col 18% dei consensi, ora il Pd viaggia tra il 19 e il 20%. L’unica vittoria elettorale davvero rilevante si è avuta in Sardegna con una candidata imposta da Giuseppe Conte, la grillina Alessandra Todde. Per il resto, quel che doveva essere il “campo largo” è sembrato più un “campo santo” dove seppellire la bruciante sconfitta in Abruzzo ad opera del governatore meloniano uscente Marco Marsilio e la figuraccia rimediata in Basilicata con il candidato presidente scelto last-minute. Se da un lato la nuova dirigenza schleiniana continua a vantarsi di aver stretto alleanze con i pentastellati nella maggior parte dei capoluoghi in cui si voterà il prossimo 8 e 9 giugno in concomitanza con le Europee, dall’altro lato, Sardegna a parte, Pd e M5s hanno perso in tutte le altre Regioni in cui si sono presentati insieme. L’obiettivo iniziale della nuova segretaria di spostare l’asse del partito più a sinistra per recuperare i voti degli astensionisti di sinistra e rubare elettori al M5S è miseramente fallito. Questo porterà il Pd a cercare un modo di recuperare consensi puntando nuovamente verso il centro piuttosto che rincorrere un M5S che finora ha riservato solo sberle e voltafaccia ai democratici? Non sarà facile e forse neppure necessario dialogare con il duo Renzi e Calenda, ma l’era dei radical-chic cresciuti nei centri sociali e caratterizzata più da una fascinazione maggiore per i diritti civili che per i diritti sociali sembra inevitabilmente destinata a volgere al termine.
Il leader del M5S, infatti, con l’avvicinarsi delle Europee, cerca sempre di più di distinguersi dalla Schlein sia in politica estera, abbracciando senza sé e senza ma la causa pacifista, sia in politica interna abbracciando la causa della legalità in Puglia. È proprio a Bari che il Pd è letteralmente esploso creando non pochi problemi alla segretaria che, dopo un anno, non è ancora riuscita a tenere a bada i due cacicchi più ingombranti: Vincenzo De Luca e soprattutto con Michele Emiliano con cui è costretta a scendere a patti. Mentre l’ex premier può scegliere di agire indisturbato e scegliere autonomamente la linea politica da seguire, la segretaria del Pd deve barcamenarsi tra le diverse anime del partito. Il “pasticciaccio brutto” del nome sul simbolo è un’altra grave ferita nel rapporto, più subìto che voluto, tra la segretaria e i capi-corrente del Pd. Schlein, salita alla ribalta più di dieci anni fa per il famoso ‘Occupy-Pd’ ai tempi della mancata elezione di Romano Prodi al Colle, è ancora vista come un corpo estraneo. La sinistra, per sua stessa natura, non ama chi vuol fare il ‘capo carismatico’ imponendo il proprio nome sul simbolo. Predilige la condivisione delle scelte e, in poche parole, chi governa ancora il Pd sono gruppi di potere che vogliono continuare a gestire il partito in maniera oligarchica e, perciò, dopo le Europee, la cosiddetta ‘ditta’ cercherà di riprendersi il suo “giocattolo”.
Fonte : Today