I ragazzi che si uccidono per depressione

“Ho deciso che morirò a maggio, a casa mia, sul mio divano”, queste le parole di Zoraya ter Beek, 28enne olandese a cui è stata diagnosticata una grave depressione cronica che sembra non rispondere in modo significativo né ai trattamenti psicologici, né a quelli farmacologici. Per morire non andrà in una clinica ma accoglierà nella propria abitazione la dottoressa che gli somministrerà il farmaco mortale. Non si tratterà dunque di “suicidio assistito”, ovvero la casistica in cui è il paziente ad assumere volontariamente la sostanza letale fonitagli dal personale medico. In questo caso parliamo proprio di eutanasia poiché sarà una terza persona che si prenderà la responsabilità di procedere con l’iniezione mortale.

Questa notizia ha fatto presto il giro del mondo, eppure non è né primo e non sarà nemmeno l’ultimo caso simile di cui sentiremo parlare. Sono sempre più numerose infatti le persone che scelgono l’eutanasia o il suicidio assistito per problematiche di natura psicologica, in particolare di natura depressiva. I più giovani non fanno eccezione, anzi. Difficile avere statistiche precise in merito, ma sappiamo sicuramente che nel 2022 un’altra ragazza belga di nome Shanti De Corte aveva scelto il medesimo destino di Zoraya. E chissà quanti altri la cui notizia non è uscita sui media per volontà dei diretti interessati.

Morire lo stesso d’inedia

In Italia i sondaggi sembrano dismostrare come sempre più persone siano favorevoli all’eutanasia in casi di malattie terminali estremamente dolorose, ma quando si parla di eutanasia in ragazzi giovani per motivi legati alla salute mentale, allora il sentimento generale cambia drasticamente ed ecco che emerge la rabbia e la netta opposizione. Per quanto io capisca perfettamente questo tipo di reazione emotiva, dobbiamo lucidamente renderci conto di un aspetto: nei casi più gravi e cronici di depressione i tentativi suicidari sono estremamente frequenti, che ci piaccia o meno. Il caso della 17enne Noa Pothoven, di cui si parlò molto nel 2019, ne è l’esempio più lampante. La ragazza olandese aveva richiesto il suicidio assistito per un grave disturbo post traumatico da stress che le impediva di avere una qualità della vita dignitosa e le aveva causato una forte depressione apparentemente incurabile. Nonostante quanto è stato riportato su molte testate, anche in Italia, la richiesta di Noa venne respinta. E lei come reagì? Si è lasciò morire di fame e di sete, lanciando un chiaro messaggio al mondo: “Non potete fermarci, potete solo aiutarci”.

Chiuderci dunque aprioristicamente all’idea dell’eutanasia anche nei casi più estremi della malattia mentale (sì, perché la depressione maggiore è una grave psicopatologia e non semplice “tristezza”) sarebbe stupido, nonché controproducente. Alcuni ricercatori sostengono che la sola esistenza di questa opzione potrebbe addirittura ridurre i casi di suicidio, poiché la consapevolezza che esista una strada “medica” per porre fine alla propria sofferenza, potrebbe spingere coloro che hanno istinti suicidari a procrastinare i tentativi. E anche nel momento in cui dovessero arrivare a decidere di rchiedere l’eutanasia, verrebbero intercettati dal Sistema Sanitario, che a questo punto potrebbe offrire loro cure, supporto psicologico e, ad esclusione dei casi più gravi, aiutarli a stare meglio.

Fonte : Today