Il Parlamento europeo ha appena approvato il nuovo Patto di Stabilità e per l’Italia non è un’ottima notizia. Dopo l’epoca della spesa pubblica senza freni, concessa per rispondere alla crisi scatenata dalla pandemia di coronavirus e dalla guerra in Ucraina, l’Unione europea ha ora stabilito che è finita l’epoca della tolleranza, e che si ritorna all’austerità e si devono di nuovo applicare le rigide norme di bilancio comunitarie. In realtà la tolleranza era già finita a gennaio quando il Patto, che era stato sospeso, era ritornato in vigore. Ma ora il governo di Giorgia Meloni dovrà fare i conti con le nuove regole, e con una procedura di infrazione che non è ancora stata ufficialmente lanciata, ma che lo sarà sicuramente e che dovrebbe portare il nostro Paese a fare tagli al bilancio di almeno 10 miliardi l’anno, ma forse molti di più: oltre il triplo.
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La decisione sulla procedura per disavanzo eccessivo “sarà presa quando presenteremo il pacchetto di primavera”, cioè il 19 giugno, ha detto il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni, che ha però avvertito che “ovviamente, guardando ai dati dell’Eurostat si può avere un’anticipazione delle potenziale decisione”. E dall’Eurostat è arrivata una condanna senza appello del nostro Paese, che lo scorso anno ha registrato il deficit (cioè le differenze tra le entrate e le uscite nel bilancio di un Paese) più alto d’Europa: addirittura il 7,3% del Prodotto interno lordo, oltre il doppio del limite massimo stabilito dal Patto, che è del 3%.
Insieme a noi a sforare i limiti ci sono altri 10 Paesi, quindi 11 in tutto su 27: Belgio (4,4%), Estonia (3,4%), Spagna (3,6%) Francia (5,5%), Malta (4,9%) e Slovacchia (4,9%); per i Paesi non euro Cechia 3,7%, Polonia 5,1%, Romania 6,6%, Ungheria 6,7%. Ma cosa cambia col nuovo Patto e che significa per noi?
Il nuovo Patto di Stabilità
La riforma del Patto di Stabilità e crescita era richiesta da tempo e Paesi come l’Italia spingevano perché significasse un definitivo abbandono delle regole di austerità. Ma la resistenza delle nazioni cosiddette frugali ha vanificato questa speranza, e il nuovo Patto non segna affatto un taglio con il passato, anche se concede più flessibilità per i piani di rientro. La base di tutto resta sempre la stessa: gli Stati non possono superare del 3% il rapporto tra deficit e Pil, e del 60% per il debito pubblico. Queste due percentuali restano le stelle polari. Gli Stati non in linea con questi parametri, come appunto l’Italia, dovranno mettersi in regola con piani di rientro concordati con la Commissione europea che dureranno quattro anni, che potranno essere estesi a sette per chi accetta di fare tutta una serie di riforme.
Sulla base dell’esperienza dei Piani nazionali di ripresa e resilienza (gli ormai famosi Pnrr), i governi dovranno presentare questi piano di rientro con Bruxelles che controllerà poi ogni anno che il percorso stabilito venga rispettato, e chiederà (o concorderà) aggiustamenti se necessario. Il testo chiede la riduzione media annua del rapporto tra il debito e il Pil di 1 punto percentuale per i Paesi con debito superiore al 90%.
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Tra questi c’è sempre l’Italia, il cui debito è al 137,3% del Pil, secondo in Europa solo a quello della Grecia che è al 162%. E secondo le previsioni della Commissione, se continuiamo su questa strada le cose andranno sempre peggio. L’analisi di sostenibilità del debito per l’Italia, fatta dalla Commissione europea, mostra che il rapporto debito Pil italiano dovrebbe arrivare a circa il 148% nel 2029 e al 164% nel 2034 se non si cambia linea. Per questo Bruxelles sarà piuttosto severa con noi.
Il ritmo di riduzione
Paradossalmente l’apertura di una procedura di infrazione è, almeno in parte, una buona notizia. Questo perché secondo le regole per uscire dalla procedura i governi devono ridurre obbligatoriamente il rapporto tra deficit e Pil dello 0,5% l’anno, che per il nostro Paese, che ha un Pil nominale di circa 2mila miliardi, dovrebbe significare tagli di almeno 10 miliardi l’anno nel bilancio pubblico, ma comunque meno dell1% dei periodi normali. Ma l’obiettivo sul lungo termine resta per l’Italia di tornare a livelli di deficit accettabili per le regole europee, o quantomeno ai livelli pre pandemia, quando era comunque intorno al 3. E per il nostro Paese potrebbe voler dire una cura lacrime e sangue. A fare i conti è stato l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) che svolge una funzione di vigilanza sulla finanza pubblica.
Patto di stabilità: le regole cambiano, ma l’austerità resta
“Per raggiungere entro la fine del decennio la situazione pre-pandemica del 2019, quando il debito era pari al 134,2 per cento del prodotto, dovrebbero realizzarsi riduzioni nel triennio 2028-2030 pari, in media, a circa 1,8 punti percentuali di Pil all’anno”, ha avvertito Lilia Cavallari, presidente dell’Upb, durante l’audizione sul Def di fronte alle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato. Questo significherebbe circa 36 miliardi di euro ogni anno di tagli.
Un paradigma da cambiare
Al di là di complicati numeri e cifre, alla base del nuovo Patto resta l’assunto che per ridurre il rapporto tra Pil e deficit si deve ridurre quest’ultimo, che è il dogma dell’austerità. Ma questo assioma è stato messo in discussione e criticato da chi sostiene che la riduzione del deficit a tappe forzate non determini necessariamente una riduzione del debito e che si dovrebbe lavorare piuttosto a far crescere il Pil, la ricchezza di un Paese, anche usando investimenti pubblici (e quindi deficit). Questo deficit sarebbe insomma positivo perché, se utilizzato bene, farebbe aumentare la ricchezza di una nazione e di conseguenza le sue entrate.
Fonte : Today