Curioso, per un piatto che non è né una minestra, e non è nemmeno anglosassone, passare alla storia col nome di ‘Zuppa Inglese’. Un dolce che spunta sulla tavola della domenica di tante famiglie, specie al Centro Italia, e che ha una storia lunga e alquanto dibattuta. Un dibattito da risolvere tra Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Campania, senza dimenticare l’Inghilterra. Abbiamo ricostruito le tesi più accreditate, non disdegnando qualche volo di fantasia e partendo dall’etimologia per tratteggiare diversi punti di vista. Infine, per passare alla pratica, ci sono i nostri consigli su dove assaggiarla nella città che vanta le interpretazioni migliori: Bologna.
Perché il dolce di pan di Spagna, crema e alchermes si chiama ‘zuppa’
Si dice ‘zuppa’ e viene in mente una pietanza calda, magari una minestra liquida di verdure, carne e pesce. O magari un brodo leggero, in cui cuocere tocchetti di impasto (ancora in Emilia, ad esempio, c’è la ‘Zuppa Imperiale’). Come mai dunque anche il nostro dolce si chiama così?
L’origine del vocabolo viene in aiuto, spiegando come il gotico suppa sia passato invariato al latino volgare, a indicare qualsiasi preparazione a base di pane inzuppato. Pensiamo quindi alla base fondamentale del dessert: pan di Spagna, biscotto savoiardo, oppure — tra la Romagna e Ferrara — la tipica brazadela, l’importante è sia ben imbevuto di alchermes o rosolio. Tutto torna.
Le ipotesi a favore dell’origine emiliana della Zuppa Inglese
Tra le rivendicazioni regionali della Zuppa Inglese, una delle più vigorose è quella emiliano-romagnola. L’ipotesi parla della corte estense di Ferrara del XVI secolo, dove qualcuno ricordò lontanamente il trifle, un dolce anglosassone definito l’antenato di tutte le torte. Fette di impasto lievitato bagnato con alcolici (spesso lo Sherry), stratificato con creme, panna e pezzetti di frutta.
Grazie ai contatti commerciali con l’Oltremanica, l’ispirazione arrivò fin qui, trasformandosi in pan di Spagna, biscotti e alchermes — l’al-qirmiz appreso dagli Arabi, a base di cocciniglia — in chiave nostrana. E attenzione: nessuna crema al cacao o cioccolato in vista, che a quei tempi ancora pressoché sconosciuto in Europa. Ai primi dell’Ottocento la Zuppa si spostò per Bologna verso Parma, dove secondo alcuni il pasticciere romano Vincenzo Agnoletti, a servizio dei duchi, diede il nome al dolce non tanto per ricordarne le radici quanto per l’impiego anche di rum, il distillato preferito dalla marina inglese.
E se la Zuppa Inglese fosse nata in Toscana? A Napoli? Oppure Ancona?
A Siena, nel luglio 1552, un cuoco concepì la Zuppa del Duca, in onore della visita di Ippolito da Correggio a Cosimo de’ Medici. Il dolce, che oggi prevede crema pasticcera, cioccolato e a volte meringa, è riconosciuto sia come antenato della Zuppa Inglese che del Tiramisù (la cui storia controversa abbiamo raccontato qui). Quel che è certo, però, è che la Zuppa del Duca arrivò nel XIX secolo a Firene, in particolare sul menu del Gran Caffè Doney, all’epoca punto di ritrovo — guarda un po’ — della comunità anglosassone.
“Porta questa zuppa all’inglese!” è invece l’esclamazione che conduce a Napoli sul finire del Settecento. Così il maggiordomo di Re Ferdinando I, riportato sul trono da Horatio Nelson, esortò il cameriere a servire all’ammiraglio un dessert preparato con avanzi di altri dolci secchi, crema pasticciera e l’amato rum. Una trovata dell’ultimo momento per sostituire una più elegante portata, caduta rovinosamente a terra poco prima. Infine un’ultima ipotesi, più sintetica ma ugualmente fantasiosa. È ambientata ad Ancona, dove secondo The English Woman in Italy di Gladys Patton (1860) si faceva un dolce simile imbevuto di liquore, il cui appellativo ‘inglese’ ironizzava sulla fama da bevitori dei marinai stranieri.
Dove assaggiare la Zuppa Inglese a Bologna
Sono molte — più che altrove — le possibilità di assaggiare ottime Zuppe Inglesi a Bologna. Dal ristorante Al Cambio, dove il giovane chef Matteo Poggi e Piero Pompili lo servono come monoporzione (a base della ‘vecchia’ brazadela e con sola crema gialla, cacao a parte; ma ultimamente hanno fatto anche prove con la ricetta riportata dall’Artusi, con composta di albicocca) all’Osteria Bottega, che parte ugualmente da strati di ciambella all’alchermes arricchita con scaglie di cioccolato.
Poi quella della più recente osteria contemporanea Darcy, servita in una coppa elegante e sormontata da crema al cioccolato. Amatissima, in versione ‘scucchiaiata’, anche quella della Trattoria Bertozzi, mentre Elisa Rusconi della Trattoria Da Me la propone in barattolo con una bella bicromia tra le due creme. Da tenere presente anche la zuppa inglese di Vicolo Colombina e della trattoria Serghei.
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Fonte : Today