Cinque anni dopo, il mondo è profondamente diverso. Pandemia, inflazione, invasione dell’Ucraina, crisi energetica, assedio a Gaza hanno precipitato il mondo in un’incertezza da Guerra fredda: archiviato il sogno della globalizzazione e di un governo mondiale, il declino dell’occidente è ormai un fatto acclarato. Il baricentro sta in Asia. Le materie prime, che un tempo arrivavano senza problemi sulla scorta di eredità coloniali e accordi vantaggiosi, sono diventante un problema strategico: il petrolio (e quindi il Medio Oriente) non è più centrale, il gas russo è inutilizzabile, le nuove vetture necessitano di biocarburanti, litio, cobalto provenienti da Cina e Africa. Non funzionano più neanche le catene logistiche, su cui negli ultimi vent’anni ha riposato il commercio internazionale e che sono diventate, improvvisamente, inaffidabili.
Le auto inquinano come 12 anni fa
Il rapporto della Corte dei conti europea riconosce che l’Unione ha compiuto progressi nel ridurre le emissioni di gas a effetto serra in generale, ma non nel settore dei trasporti, che sul continente assomma circa un quarto delle emissioni carboniche. Di tale quota, metà proviene dalle sole autovetture. “Il Green Deal non porterà alcun frutto, se non verrà affrontato il problema delle emissioni delle macchine. Dobbiamo però riconoscere che, nonostante le nobili ambizioni e i requisiti rigorosi, la maggior parte delle auto convenzionali emette ancora la stessa quantità di anidride carbonica di 12 anni fa”, riprende Nikolaos Milionis. La spiegazione c’è, ed è semplice, prosegue: “Nonostante l’accresciuta efficienza dei motori, le auto pesano in media circa il 10 % in più e hanno bisogno di maggiore potenza per spostarsi (circa +25 %)”.
Considerazioni che non piaceranno all’industria automotive, e che rispondono a chi vorrebbe ridurre la posizione a un servizio ai grandi gruppo. Non solo. Si legge nel rapporto: “Gli auditor hanno riscontrato che le auto ibride ricaricabili (plug-in), un tempo ritenute un’alternativa più ecologica dei veicoli tradizionali, sono ancora classificate ‘a basse emissioni’ anche se il divario tra le emissioni misurate in condizioni di laboratorio e quelle misurate su strada è in media del 250%”. Significa che gli esami vengono fatti male. E per chi ricorda il Dieselgate (lo scandalo sulle emissioni delle auto diesel), non è difficile immaginare attività di lobbying in questo senso.
Combustibili alternativi
Sul fronte dei combustibili alternativi (biocarburanti, elettrocarburanti e idrogeno) non va meglio. Sui biocarburanti, la Corte rileva la mancanza di una tabella di marcia “chiara e stabile per risolvere i problemi di lungo termine del settore: la quantità di combustibile disponibile, i costi e la compatibilità ambientale”. In poche parole, “non essendo disponibili su vasta scala, i biocarburanti non possono rappresentare un’alternativa affidabile e credibile per le nostre auto”, riprende Milionis. E poi: la biomassa prodotta sul mercato interno non è sufficiente per offrire una valida alternativa. “Se questa biomassa è prevalentemente importata da paesi terzi, viene meno l’obiettivo dell’autonomia strategica in materia di energia. Inoltre, altri settori produttivi (per esempio, industria alimentare, farmaceutica e dei prodotti cosmetici) fanno concorrenza al settore automobilistico per l’uso delle stesse materie prime”. “I biocarburanti non sono ancora competitivi dal punto di vista economico: sono semplicemente più cari di quelli a base di carbonio, e le quote di emissioni costano attualmente meno che ridurre le emissioni di CO2 utilizzandoli”. ce n’è anche per la sostenibilità: “La compatibilità ambientale dei biocarburanti è sovrastimata”. “Le materie prime per la produzione di biocarburanti possono essere distruttive per gli ecosistemi e nocive per la biodiversità nonché la qualità del suolo e delle acque: sollevano quindi inevitabilmente questioni etiche sull’ordine di priorità tra beni alimentari e carburanti”.
Il rompicapo elettrico
È il turno dei veicoli elettrici, definiti un “rompicapo”: “L’industria europea delle batterie è in ritardo rispetto ai concorrenti mondiali. Meno del 10 % della produzione mondiale di batterie è localizzata in Europa e per la stragrande maggioranza è in mano ad imprese non europee. A livello mondiale, la Cina rappresenta un impressionante 76 % del totale”, si legge. “L’industria delle batterie dell’Ue è frenata in particolare dall’eccessiva dipendenza dalle importazioni di risorse da paesi terzi, con i quali non sono stati sottoscritti adeguati accordi commerciali. L’87 % delle importazioni di litio grezzo proviene dall’Australia, l’80 % delle importazioni di manganese dal Sud Africa e dal Gabon, il 68 % del cobalto dalla Repubblica democratica del Congo e il 40 % della grafite dalla Cina”. Il costo delle batterie in Europa è troppo alto rispetto ai produttori esteri, e “potrebbe anche rendere proibitivi i veicoli elettrici per gran parte della popolazione”: le vendite aumentano grazie alle sovvenzioni pubbliche, si spiega, ma a uscire dalle concessionarie e finire nei garage sono soprattutto veicoli sopra i trentamila euro.
Fonte : Wired