Un direttore d’orchestra vestito da Napoleone, tutine lucide brillantinate, cotonature acrobatiche, cappelloni e baffoni, pantaloni forse un po’ troppo a zampa: quello che gli spettatori d’Europa e del mondo si trovarono di fronte quando, il 6 aprile 1974, gli Abba salirono sul palco dell’Eurovision Song Contest a cantare la loro Waterloo erano uno spettacolo non solo improbabile e inedito, ma soprattutto destinato a rimanere nella storia. Il quartetto formato da Agnetha Fältskog, Björn Ulvaeus, Benny Andersson, e Anni-Frid Lyngstad era all’epoca relativamente sconosciuto fuori dai confini scandinavi ma fu chiaro fin dalle prime mossettine che la loro esibizione si sarebbe rivelata vincente. La Svezia conquistò proprio quell’edizione e, al contempo, rivoluzionò una gara che ancora oggi, a 50 anni di distanza, ancora prosegue su quella scia scintillante.
La canzone, del resto, era paradossalmente profetica: Waterloo è un brano dagli echi appunto napoleonici, che parla di una sconfitta amorosa (“My, my, at Waterloo Napoleon did surrender. Oh yeah, and I have met my destiny in quite a similar way“) ma che qui si ribalta e diventa un clamoroso successo europop. Già l’anno prima, nel 1973, gli Abba si erano fatti notare arrivando terzi, con il brano Ring Ring, al Melodifestivalen, il concorso di pre-selezione svedese all’Eurovision (un po’ il nostro Sanremo). Decisero dunque di costruire a tavolino un pezzo che potesse conquistare il pubblico nazionale ma anche internazionale: al Melodifestivalen portarono dunque un brano ritmato e uptempo, decisamente camp e orecchiabile, cantato prima in svedese e poi in inglese (quello fu il primo anno, tra l’altro, in cui fu tolto l’obbligo ai concorrenti di cantare nella loro lingua madre).
Fonte : Wired