Google ha licenziato 28 lavoratori in seguito ai sit-in di protesta avvenuti in due dei suoi uffici nei giorni scorsi. Lo rivela The Verge, pubblicando una nota interna dell’azienda che – tra le altre cose – ha comunicato ai dipendenti: “Se siete tra i pochi tentati dal pensare che chiuderemo un occhio sui comportamenti che violano le nostre politiche, ripensateci”.
Il provvedimento segue l’arresto di 9 dipendenti che nei giorni scorsi hanno occupati gli uffici dell’azienda di New York e in California. Il mese scorso, inoltre, Google aveva licenziato un altro dipendente per aver protestato contro Israele durante un evento organizzato dall’azienda.
I dipendenti licenziati hanno protestato contro il coinvolgimento di Google nel Progetto Nimbus, che ha assicurato all’azienda di Mountain View (e ad Amazon) 1,2 miliardi di dollari dal governo israeliano per lo sfruttamento dei servizi legati al cloud computing.
“Non siamo venuti a Google per lavorare su una tecnologia che uccide. Impegnandosi con questo contratto, la leadership dell’azienda ha tradito la nostra fiducia, i nostri principi sull’intelligenza artificiale e la nostra umanità” ha scritto Billy Van Der Laar, un ingegnere informatico, in occasione della protesta.
Alcuni dei manifestanti hanno occupato l’ufficio dell’amministratore delegato di Google Cloud, Thomas Kurian, finché non sono stati rimossi con la forza dalla polizia.
Il Progetto Nimbus è nato nel 2021 e già all’epoca ha causato forti tensioni interne a Google e Amazon. Due anni dopo, complice l’inizio della guerra tra Israele e Hamas, e i bombardamenti di Netanyahu nella Striscia di Gaza, le proteste per l’accordo sono montate nuovamente.
Chris Rackow, responsabile della sicurezza globale di Google, ha scritto ai dipendenti che l’azienda non tollererà “un comportamento del genere sul luogo di lavoro”. Rackow ha anche sottolineato che “la stragrande maggioranza dei nostri dipendenti fa la cosa giusta” e che l’azienda “continuerà ad applicare le politiche di lunga data per agire contro comportamenti dannosi fino al licenziamento”.
Il gruppo No Tech for Apartheid, che ha guidato le proteste contro l’accordo con il governo israeliano, ha definito i licenziamenti un “atto palese di ritorsione”.
Fonte : Repubblica