Per il tredicesimo anno consecutivo il Giappone ha registrato un calo della popolazione. I sussidi per l’assistenza all’infanzia varati dal governo quasi un anno fa non sembrano bastare. La demografa Minagawa: “Pesano anche il conflitto nella gestione del lavoro e della famiglia e la pressione sulla maternità nella società”. Tra i fattori anche la secolarizzazione: secondo una ricerca del Pew Research Center i giapponesi che pregano sono più propensi ad avere figli.
Tokyo (AsiaNews/Agenzie) – Secondo gli ultimi dati pubblicati la settimana scorsa, al 1° ottobre dello scorso anno la popolazione giapponese è diminuita di altre 595.000 unità, pari allo 0,48%, rispetto all’anno precedente, attestandosi a 124.352.000 unità. Si tratta del 13° anno consecutivo di diminuzione della popolazione del Paese, a causa del crescente invecchiamento della popolazione, del forte calo delle nascite e della riduzione delle dimensioni delle famiglie. Secondo le stime rilasciate dall’Istituto nazionale della popolazione giapponese, nel 2050 i nuclei familiari composti da una sola persona dovrebbero rappresentare il 44,3% dei 52,61 milioni di famiglie presenti in Giappone, di cui quasi la metà composta da persone di 65 anni o più.
Non sorprende che il calo del tasso di natalità del Giappone sia da tempo stato messo al centro dell’attenzione dal primo ministro Fumio Kishida: già nel giugno 2023, Kishida ha presentato una serie di misure governative, il cui costo è stato stimato in circa 20,6 miliardi di euro, tra cui l’impegno a raddoppiare la spesa per l’assistenza all’infanzia entro i primi anni 2030 e ad aumentare il limite di reddito per i sussidi in denaro per i bambini. L’idea è che queste misure possano spingere le coppie giapponesi ad avere più figli.
Nonostante possano sembrare generose, le politiche nataliste di Kishida non sembrano comunque riuscire ad affrontare le cause profonde che scoraggiano i giapponesi a sposarsi e ad avere figli: l’aumento del costo della vita, la stagnazione dei salari, e il mutamento degli stili di vita promosso dalla secolarizzazione e dal consumismo nel Paese.
L’aumento dei costi delle materie prime ha fatto salire alle stelle l’inflazione in Giappone come in altre parti del mondo e questo ha avuto ripercussioni anche sui costi per l’infanzia e l’istruzione: l’agenzia Nikkei qualche mese fa stimava che “i costi medi totali per un bambino che riceve un’istruzione privata per 15 anni di scuola, comprese le tasse scolastiche e le spese per i corsi di recupero, in Giappone hanno raggiunto un nuovo record di 18,4 milioni di yen (circa 111.000 euro). I costi annui lordi per la cura dei bambini per due figli in Giappone già nel 2021 rappresentavano quasi la metà del reddito di una coppia media con un lavoro a tempo pieno.
Kishida ha presentato alcune misure per fare fronte all’inflazione, come il prolungamento dei sussidi per la benzina e i servizi pubblici fino alla primavera del 2024 e la possibilità di ridurre le imposte sul reddito. Ma secondo i critici si limita ad affrontare i sintomi del problema, piuttosto che risolvere l’annoso problema della stagnazione salariale del Giappone: in base al censimento dei salari del 2022, il salario medio mensile degli uomini è aumentato solo del 6% dal 1995.
La prof.sa Yuka Minagawa, demografa sociale presso la Sophia University di Tokyo, in un’intervista alla rivista Foreign Policy ha valutato le reazioni agli assegni per la cura dei figli su diversi blog e forum di discussione online in cui le madri giapponesi parlavano delle loro esperienze. “Finora – racconta – non ho trovato un solo post che indicasse l’ammontare degli assegni familiari come fonte di difficoltà. Invece, i temi ricorrenti includono la mancanza di una responsabilità condivisa tra uomini e donne nella cura dei figli e nel lavoro domestico, la pressione e il conflitto nella gestione del lavoro e della famiglia e lo stress dovuto agli alti standard sulla maternità nella società. È difficile immaginare – conclude – che un assegno mensile per i figli dell’importo di 15.000 yen (circa 90 euro) possa alterare le decisioni riproduttive dei futuri genitori”.
Ma è soprattutto il cambiamento degli stili di vita, con l’aumento del numero di donne che lavorano piuttosto che sposarsi e crescere i figli a casa, a contribuire al calo delle nascite quando non è accompagnato da adeguate politiche sociali.
Secondo un sondaggio condotto dal Pew Research Center tra il 2 giugno e il 17 settembre 2023 e pubblicato il 3 aprile, meno del 30% delle persone a Hong Kong, Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Vietnam afferma che le donne abbiano l’obbligo sociale di avere figli. Il Giappone si è classificato al primo posto nel sondaggio, con il 79% degli intervistati che ha dichiarato che le donne sono libere di scegliere le loro preferenze sul tema. Lo stesso sondaggio ha sottolineato il ruolo della religione e della preghiera nell’influenzare le opinioni degli intervistati sull’avere figli. Gli adulti in Giappone, Corea del Sud e Taiwan che pregano quotidianamente sono “un po’ più propensi di quelli che pregano meno spesso a dire che avere figli è uno dei compiti delle donne”.
Alla luce di queste tendenze, le politiche nataliste del governo Kishida, per quanto ben intenzionate, appaiono lontane da una strada efficace per risolvere un problema profondamente radicato nella società giapponese di oggi.
Fonte : Asia