Mentre la maggior parte dei suoi coetanei inizia a programmare, Luckey sperimentava nel garage dei genitori, cercando fin dalla pre-adolescenza di costruire armi laser ed elettromagnetiche utilizzando rame e condensatori ad alto voltaggio. Qualche anno dopo, inizia anche a modificare dispositivi per il gaming, a riparare iPhone usati, a smontare e rimontare vecchi dispositivi per la realtà virtuale acquistati durante aste governative, a leggere paper desecretati sulle ricerche avanzate del Pentagono.
Una dedizione che verrà presto premiata, non appena Palmer Luckey vende Oculus a Mark Zuckerberg e sembra sul punto di diventare il nuovo campione della Silicon Valley. E invece le cose prendono una piega completamente diversa: prima si scopre che, nel 2016, Luckey aveva donato a dei gruppi anti-Hillary Clinton e poi viene a galla il suo esplicito supporto per Donald Trump (all’epoca candidato presidente), che gli aliena le simpatie di un mondo tecnologico all’epoca ancora dominato dalla corrente liberal.
La startup della guerra
Licenziato da Facebook, decide di fare ciò che all’epoca nessun altro avrebbe osato a San Francisco e dintorni: fondare una startup di tecnologia bellica. Nel 2017 nasce così Anduril, battezzata in onore di una spada de Il Signore degli Anelli e inizialmente sostenuta economicamente dal solito Peter Thiel, uno dei più importanti venture capitalist statunitensi (anche lui sostenitore di Donald Trump).
Il primo contratto governativo di Anduril arriva poco dopo ed è relativo alla fornitura di una torretta di sorveglianza munita di intelligenza artificiale da dispiegare al confine tra Stati Uniti e Messico. Da allora, Anduril ha messo a segno una crescita senza sosta, arrivando a raccogliere finanziamenti per 2,8 miliardi di dollari e a un fatturato che si prevede crescerà fino a un miliardo di dollari entro il 2016.
Merito, se così si può dire, delle armi tecnologicamente avanzatissime sviluppate da questa startup: il drone Altius-600M, in grado di identificare in autonomia il nemico e di esplodere in una palla di fuoco al contatto con esso, l’aereo da guerra autonomo Fury e il sottomarino da battaglia Dive-LD. E merito, sempre se così si può dire, di una situazione geopolitica incandescente: “Vogliamo costruire tecnologie che ci diano la capacità di vincere facilmente ogni battaglia in cui siamo costretti a entrare”, ha spiegato Luckey facendo ovviamente riferimento agli Stati Uniti.
Luckey, tra le altre cose, è anche un convinto sostenitore del principio della deterrenza: della necessità, cioè, che gli Stati Uniti sfruttino l’intelligenza artificiale per costruire le armi più potenti e pericolose possibili, al fine di far desistere fin dall’inizio chiunque pensi di rivaleggiare con la superpotenza americana. È anche per questa ragione che, negli ultimi anni, Luckey è stato paragonato a una sorta di Robert Oppenheimer dell’intelligenza artificiale.
Incurante del dibattito in corso sullo sviluppo delle armi autonome e della pericolosità di una nuova corsa alle armi, Luckey continua a siglare nuovi contratti, mentre assieme alla sua Anduril continua a crescere anche l’industria della cosiddetta “defence tech”, che negli ultimi quattro anni ha raddoppiato la quota di investimenti ricevuti raggiungendo quota 33 miliardi di dollari (una percentuale ancora ridotta degli 842 miliardi di budget militare statunitense).
Dal mito della Silicon Valley liberal e un po’ hippy sorta nell’epoca post-Vietnam, si arriva così alla Silicon Valley testa d’ariete delle capacità belliche dell’intelligenza artificiale, in un mondo dalle tensioni sempre più acuite. Palmer Luckey, per molti versi, è stato un pioniere di questa cupa trasformazione.
Fonte : Wired