Sullo sviluppo di biotecnologie e tecniche di potenziamento degli esseri umani la Nato è pronta a investire. Schierando il suo programma di accelerazione per startup, Diana, e il suo fondo innovazione (Nif). Lo ha messo nero su bianco la stessa Organizzazione del patto dell’Atlantico del nord, che riunisce 32 paesi tra Europa e Nord America, nell’ultima delle sue strategie sulle 9 tecnologie di frontiera. Quella dedicata al biotech. Che si traduce nel creare biosensori per smascherare minacce chimiche e radiologiche; smarcarsi dalla dipendenza di concorrenti e avversari, a cominciare dalle terre rare; creare difese da armi batteriologiche, prodotte anche con l’AI generativa. C’è poi il capitolo potenziamento umano (ossia tecnologie per superare i limiti di natura): dagli esoscheletri ai nuovi materiali, dalla medicina militare per la riabilitazione fino alle interfacce uomo-macchina per rafforzare la capacità cognitiva.
Per queste sfide, la Nato è pronta a mobilitare il suo programma di sviluppo tecnologico. Due i pilastri. Da un lato c’è Diana, l’acceleratore di startup che l’anno scorso ha reclutato le prime 44 nei settori della sorveglianza, delle telecomunicazioni e delle energie pulite. Dall’altro il Fondo innovazione ha un miliardo per fare crescere le più meritevoli. L’Alleanza atlantica vuole assicurarsi di alimentare le aziende innovative più interessanti con fondi “amici”, farle crescere e trovare applicazioni in ambito civile e militare con cui tenere testa agli avversari. Il raggio d’azione va dall’intelligenza artificiale ai missili ipersonici, dallo spazio al quantum computing.
Le prime startup
Il direttore operativo di Diana, Jyoti Hirani-Driver, spiega a Wired che tutte le startup del primo bando hanno ricevuto l’assegno da 100mila euro promesso, così come sostegno a trasferte, formazione, opportunità di fare networking e test in centri selezionati. A giugno scadono i sei mesi del programma. A quel punto, aggiunge il manager, “Diana valuterà il successo nello sviluppo della loro tecnologia, la fattibilità commerciale, il potenziale di adozione in campo di difesa e sicurezza”. In estate arriverà anche la seconda tornata di bandi. Dal quartiere generale di Londra il direttore operativo non si sbottona sui temi, ma fa sapere che si focalizzerà sul dual use (ossia applicazioni civili e militari della stessa tecnologia). C’è attenzione alle ricadute dell’AI, specie dopo il decollo dei sistemi generativi nell’ultimo anno e mezzo. Nella strategia sul biotech, la Nato si interroga sui rischi che l’intelligenza artificiale generativa può costituire nello sviluppo di armi batteriologiche.
Diana oggi conta su due uffici locali (Tallinn, in Estonia, per l’Europa, e Halifax, Canada per il Nord America) e una rete di 200 tra acceleratori e centri di sperimentazione. L’Italia è quella con il numero maggiore. A Torino è insediato l’acceleratore Takeoff, curato da Plug & Play (operatore globale nello sviluppo di startup), dove sono appoggiate 8 delle imprese innovative scelte da Diana. E sono 25 i centri di test lungo lo Stivale: dal Politecnico del capoluogo piemontese a quello di Milano, dall’università di Bologna a siti dell’Esercito.
Occhio alle micro-turbine eoliche
Tra le startup accelerate nel centro sabaudo c’è l’italiana Wpe Research & Development, che sviluppa micro-turbine eoliche. Nata nel 2019, la società conta circa 20 persone, un brevetto da tutelare e un prodotto pronto per la commercializzazione dalla seconda metà dell’anno e già sperimentato con Moveo, lo spinoff per l’innovazione di Autostrade per l’Italia. Valerio Rizzolo, responsabile tecnologico, spiega a Wired che Diana “ci ha permesso di cambiare prospettiva”. Il programma della Nato fornisce un mentore alle startup, corsi di formazione (specie in ambito business e di sviluppo dual use), viaggi spesati per incontri con investitori e vertici militari e occasioni per fare rete con le altre società e proporre prodotti integrati.
Fonte : Wired