Di intelligenza artificiale si è discusso molto, nei due giorni dell’e-P Summit dedicati alla moda nel mondo digitale. Ma sul palco della Stazione Leopolda, a Firenze, la domanda più pressante non è stata posta: l’IA arriverà a creare abiti e accessori come oggi fanno gli stilisti? Un silenzio ragionevole, visto che nessuno è in grado di dare una risposta oggi, ma forse anche un modo per esorcizzare un pericolo che non è solo teorico, considerati i progressi velocissimi di questa tecnologia in settori finora ritenuti appannaggio esclusivo della creatività umana, dal testo alla musica, dalle immagini al design.
In compenso, come succede sempre più spesso, l’espressione “intelligenza artificiale” è stata utilizzata con una certa liberalità per indicare piattaforme e servizi che senza l’AI non potrebbero esistere, come pure altri che vengono utilizzati da prima che questa tecnologia diventasse così popolare.
L’IA come interfaccia
C’è una terza via, ed è quella che sfrutta la capacità linguistica dell’AI generativa per immaginare una forma di interazione più semplice e naturale con database e automatismi vari. Un bell’esempio viene da Pink, brand di abbigliamento femminile: si chiama Pinko Brain ed è un sistema sviluppato dall’azienda in collaborazione con Data Life, società fiorentina “di consulenza e sviluppo in ambito Business Intelligence, Big Data e Predictive Analysis”, come si legge sul sito. L’AI generativa, in questo caso, viene utilizzata per far funzionare un chatbot di vendite all’utente finale, ma anche per produrre un report automatizzato a uso interno: “Abbiamo allenato il software sul nostro linguaggio aziendale”, spiega Alessandra Decaneto, Head of Data Science & Data Analyst di Pinko, “così il report utilizza espressioni e modi di dire che sono tipici nostri”. Allo stesso modo, l’IA viene utilizzata per creare le descrizioni dei prodotti per l’ecommerce. E anche per gli ordini: basta chiedere all’assistente via chat dove c’è bisogno di riassortire un certo capo, e l’ordine parte. Qui entra anche in gioco un’altra declinazione dell’IA, che il Ceo di data Life Iacopo Cricelli definisce “predittiva”. Serve per cercare di capire come potrebbero evolvere le vendite nel breve e medio termine, tenendo conto dell’andamento delle settimane e dei mesi precedenti, ma anche di variabili come il meteo ed eventuali offerte speciali. L’investimento sulla piattaforma, in termini economici, di competenze, di abitudini, è rilevante: è chiaro che sarà difficile tornare indietro, vista la facilità d’uso del sistema. Anche per questo, spiega Cricelli, se un giorno dovesse essere disponibile un modello più efficiente o più economico di GTP4, non sarebbe difficile cambiare. “Gli algoritmi su cui abbiamo lavorato servono anche a noi per capire aspetti nuovi attraverso i dati, per farci domande che nemmeno sapevamo di volerci porre”, osserva Decaneto.
Puntare sui dati
L’analisi dei dati è un aspetto fondamentale anche per un’azienda come Roberto Cavalli, che ha una storia lunga oltre mezzo secolo e un archivio poderoso. “Prima di tutto lo abbiamo digitalizzato”, spiega Massimo Mazza, Global Marketing Director di Roberto Cavalli. “E così in futuro potremo avere nuove versioni di un capo storico declinate per progetti o per momenti specifici; l’idea è di rendere rilevante la storia di Cavalli per le nuove generazioni”. Produzioni in quantità limitatissime, addirittura pezzi unici: la personalizzazione diventa più semplice con l’IA generativa: “Lavoriamo su messaggi personalizzati per i singoli clienti, dai suggerimenti per gli acquisti alla newsletter”. E Cavalli ha anche commissionato a una società specializzata una serie di modelli e modelle generati in AI, con vari gradi di verosimiglianza, e a breve potrebbero arrivare sui social come testimonal. Il risparmio è evidente: niente persone, niente studi, niente luci, niente fotografi. Ma anche qui il punto non è sostituire il lavoro e la creatività degli esseri umani, quanto esplorare nuovi linguaggi estetici. O inventarli da zero, come fa Mirror, azienda creativa fiorentina che ha ideato per Bulgari un sistema capace di creare immagini sulla base delle reazioni degli utenti alle fragranze. Da una serie di parole chiave nascono paesaggi surreali, visioni inquietanti, mondi fantastici: d’altra parte cosa c’è di più astratto ed essenziale del profumo?
“Dopo un 2022 straordinario, il 2023 della moda è stato in calo, e per questo molte firme stanno cambiando designer. Ma tante stanno investendo su tecnologie, in primis l’IA, spiega Rinaldo Rinaldi, Direttore Scientifico di e-P Summit. Un’altra parola chiave è “locale”: “Siamo in Italia, facciamo fashion italiano e dobbiamo addestrare questi modelli sulla nostra sensibilità, che non ritroviamo nei prodotti già pronti. Ci servono applicazioni più piccole e sostenibili, su misura della nostra attività”, commenta Marco Ruffa, CMO & Digital Transformation Director di Pinko.
Alla linea di produzione fisica si affianca quella digitale: “Siamo abituati a ottimizzare la prima fisica, ma non facciamo lo stesso la seconda”, rileva Marco Milioli, CMO di Hyphen Group. “A convincere il cliente all’acquisto online non è un prodotto fisico ma digitale, che quindi ha bisogno di una sua identità specifica, e questa nasce consolidando tutto ciò che è disponibile in digitale su quel prodotto, dalle immagini alla composizione, dalla produzione al prezzo. L’IA può sostituire o rendere più efficienti alcuni workflow nella fabbrica del contenuto, con strumenti che semplificano processi di produzione e traduzione testi, creazione di immagini e 3D, può migliorare la creazione e la ricerca di relazioni tra i dati. Ma per questo serve un’IA privata, addestrata sui dati e gli input del brand”.
Lo spazio delle idee
Per il Ceo di Pitti Immagine Raffaello Napoleone, “l’IA è un gamechanger, anche se non il solo: l’e-commerce ha retto oltre la pandemia, la mappatura e la visibilità della filiera di produzione sono ormai lo standard nel mondo della moda, le smart factory crescono”. Tanto da guadagnarsi una parte dell’area espositiva della Leopolda, con dimostrazioni in tempo reale: smart qui vuol dire non solo intelligente, ma anche sostenibile, e infatti il premio di Pitti Immagine per la startup dell’anno è Zerow, nata con l’obiettivo di minimizzare gli sprechi e mitigare l’impatto ambientale della filiera produttiva, trasformando scarti e materiali di surplus in risorse di valore.
Un buono spunto, un uso intelligente della tecnologia, ma tra gli espositori e sul palco se ne sentono parecchi. Ci sono i grandi nomi, come Meta, con lo shopping in realtà virtuale, oppure Spotify, che racconta il lungo sodalizio tra moda e musica, ma anche aziende più piccole. Ad esempio, Diana ha creato con Acqua di Parma un sito web immersivo, con realtà aumentata, 3D, video e suoni, tutto all’insegna della sinestesia per ovviare all’inevitabile (per ora) impossibilità di riprodurre stimoli olfattivi sul web. Le ragazze di Proke hanno inventato una tuta che ricorda un po’ quelle usate per il motion capture nei film di animazione: tutta nera, con una serie di loghi, basta indossarla e farsi un selfie per prendere le misure del corpo. L’app poi le invia al produttore, che così può realizzare un capo personalizzato con la massima precisione. E ancora, l’idea di Alessandro Pacetti, Global DTC Director di Vibram: “Stiamo pensando a un’app che permetta di inquadrare la suola della scarpa come fosse un Qr code: sarà così possibile avere sullo smartphone informazioni e contenuti legati a quel modello”. Un’impronta digitale, insomma.
Fonte : Repubblica