Nei vostri progetti digitali state dando grande importanza anche ai luoghi fisici. Come mai?
“Oltre a creare l’infrastruttura, creare i servizi, stiamo realizzando anche dei luoghi, come palestre digitali nelle scuole, hub anche nelle zone più periferiche in cui ci si può informare e formare la cittadinanza di tutte le età. Così si rende l’innovazione più vicina alle persone, non un qualcosa di cui si parla in maniera teorica”.
L’innovazione può essere una leva di crescita, economica e sociale. Ma quali sono il disegno e gli obiettivi generali della vostra amministrazione rispetto a questo tema?
“Innanzitutto dare evidenza a quello che già si fa. Quando si parla di Roma, si parla sempre delle sue bellezze architettoniche, della cultura. Si parla ovviamente della città, che è la città antica, quella più facile da raccontare. Ciò di cui non si parla è la Roma produttiva. Quando parlo di produttivo non intendo la produzione manifatturiera, perché per noi il produttivo significa servizi, Ict, aerospazio e digitale”.
Solo cambiare lo storytelling, quindi?
“No. L’altro obiettivo è rendere possibile fare impresa sul territorio, che comunque è complicato. Perché i servizi mancavano, perché un’impresa, se decide di venire a investire sul nostro territorio, ha bisogno di una serie di servizi basici (trasporti, pulizia, per esempio) per operare più agevolmente. E servono anche i servizi a valore aggiunto, tecnologici, fino ad arrivare alle competenze. Su questo dobbiamo lavorare perché, purtroppo, il saldo tra giovani che riusciamo ad attrarre, specialmente giovani talenti, sia italiani ma anche stranieri, e ragazzi romani che vanno via, sia prima che dopo l’università, purtroppo è ancora negativo”.
Durante la prima grande ondata del digitale, stiamo parlando dei primi anni 2000, in termini di innovazione Roma non era così lontana Milano come lo è adesso. C’è voglia di recuperare questo gap?
“Penso che lo stia recuperando. Da sottolineare che ci sono state delle operazioni su Milano (che a differenza di Roma non ha tanti vincoli urbanistici) che le hanno permesso di correre”.
Fa riferimento all’Expo del 2015?
“Esatto. Negli ultimi decenni Roma ha avuto “solo” il Giubileo del 2000 e i Mondiali di calcio del 1990 (grazie ai quali peraltro si deve la diffusione dei telefonini a Roma). E i grandi eventi servono – anche a livello di infrastrutture fisiche – non soltanto per l’evento in sé, ma per tutto quello che generano come impatto, per la tipologia anche di tecnologie, di innovazione, che si riesce a portare e su cui poi si fa vivere la città dopo. Ho vissuto a Torino tra il 1998 e il 2003. E andavo spesso a Milano anche per lavoro (in Fiat, ndr). La Milano di quei cinque anni non è la Milano di oggi, ma anche la Torino di prima delle Olimpiadi invernali. Tornando a Roma, quindi, il rammarico di aver perso l’Expo del 2030 c’è, perché sono certa che avrebbe potuto portare sulla città un processo trasformativo”.
Fonte : Wired