Con le nuove regole europee i migranti resteranno più tempo in Italia

Il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva il nuovo Patto sui migranti, la riforma delle regole sull’accoglienza e l’asilo dell’Unione. Si tratta di un risultato storico, perché la riforma permette di superare circa otto anni di stallo, ed è il frutto di difficilissimi negoziati. Eppure l’approvazione è arrivata con una maggioranza risicata, urla in Aula da parte di attivisti dei diritti umani e buona parte dei deputati che hanno votato turandosi il naso. L’Italia invece è tra i Paesi che esultano per il risultato, anche se è difficile capire il perché.

Via libera alle nuove regole europee sui migranti: cosa cambia

Con oltre 46mila persone entrate nell’Ue attraverso rotte migratorie irregolari solo quest’anno, e circa 400 morte nel tentativo di farlo, una riforma sembrava necessaria, ma quella approvata non risolve quello che è da sempre stato il punto debole delle Regole di Dublino e contro cui il nostro Paese si è storicamente battuto: la regola secondo cui è lo Stato di primo ingresso che deve farsi carico dell’accoglienza. Per anni i nostri governi hanno criticato questo principio, che di fatto mette sulle spalle delle nazioni più esposti ai flussi irregolari, come appunto l’Italia ma anche la Grecia e la Spagna, la responsabilità di gestire le domande di asilo che arrivano dalle persone che sbarcano sulle nostre coste.

La riforma approvata a Bruxelles non solo non cambia questa regola, ma addirittura allunga i tempi per cui in Italia dovremo farci carico dei rifugiati. Se secondo le regole di Dublino eravamo responsabili per un anno dall’ingresso irregolare della responsabilità di farci carico di un’eventuale domanda di asilo, adesso questo periodo viene portato a ben 20 mesi, otto in più, che tornano 12 solo nel caso che il migrante che richiede la protezione sia stato salvato in mare.

E non solo. Per assicurarsi che non avvengano movimenti secondari verrà resa più stringente la raccolta delle informazioni degli irregolari fermati nel territorio Ue utilizzando dati biometrici e aggiungendo anche le immagini del volto ai database delle impronte digitali esistenti. La soglia per la raccolta dei dati di un minore sarà abbassata da 14 a 6 anni di età. Il tutto con la Commissione che controllerà che la procedura avvenga in maniera regolare. In questo modo sarà più difficile utilizzare il trucco che tante volte il nostro Paese (ma non solo) ha usato in passato, quello cioè di lasciare passare i migranti senza segnalarli, in modo che potessero andare nei Paesi più a nord, come Francia o Germania, dove spesso sono diretti attirati dalle migliori condizioni economiche della nazione. Se Berlino o Parigi troveranno sul loro territorio un migrante che secondo il database è entrato in Europa dalle nostre coste, avranno ancora (e per più tempo) il diritto a mandarlo indietro.

A mitigare la responsabilità sarà previsto un meccanismo di solidarietà tra nazioni, ma si attiverà solo in casi eccezionali e non comporterà, come chiedevano in tanti, un ricollocamento obbligatorio dei migranti. Obbligatoria sarà solo la “solidarietà”, il che vorrà dire che i governi che non vogliono accettare nessuna persona sul loro territorio, come quello ungherese di Viktor Orban, potranno cavarsela versando semplicemente con un contributo finanziario, e neanche tanto ingente. Eppure il governo di Giorgia Meloni ha sostenuto questo nuovo Patto con convinzione. Questo perché la premier è contraria al principio dei ricollocamenti, ritenendolo un pull factor, un fattore di attrazione che spingerebbe a suo avviso ancora più migranti a partire. L’Italia di Meloni continua a promettere che i migranti saranno fermati prima che partano o che saranno rimandati da dove vengono, una cosa che finora nessuno è riuscito a fare e non si capisce quale miracolo starebbe per accadere in Europa adesso.

La nuova arma sarebbero i Patti con i Paesi terzi, patti che, al di là del dubbio valore morale, con la gestione dei migranti appaltata a dittatori e a spregio dei diritti umani, è un’illusione pensare che risolveranno davvero il problema. Stiamo andando a pregare nazioni come Tunisia, Egitto, Algeria non solo di fermare le partenze, ma anche di riprendersi i migranti che scappano ai loro controlli (e che molto spesso loro stessi fanno partire proprio per non doversene fare carico), pensando di trasformare queste nazioni in enormi Cpt.

Il prezzo che Meloni e von der Leyen pagano alla Tunisia per fermare i migranti

Il più celebre di questi è stato sottoscritto la scorsa estate in pompa magna con il presidente tunisino Kais Saied, che prima ha accettato gli oltre 160 milioni di finanziamenti promessi, poi ha iniziato a fare casino annunciando che la Tunisia “non accetterà mai di essere il guardiano dei confini di nessun Paese, né accetterà l’insediamento di migranti sul proprio territorio”. Di fatto stava solo alzando la posta per ottenere maggiori finanziamenti. E noi ora siamo schiavi dei suoi capricci, senza neanche aver visto risultati concreti al momento di questo accordo. E intanto secondo l’Onu, la scorsa estate circa 7mila migranti, tra cui tantissimi richiedenti asilo, sono stati spinti con la forza dalle forze tunisine nel deserto che da un lato porta in Libia, e dall’altro in Algeria, condannandone centinaia a morte certa. Ma quello è un problema su cui i governi europei preferiscono chiudere un occhio. Anzi, entrambi.

Fonte : Today