Amica Chips, Dio salvi lo spot

In un paese laico le pubblicità come l’ultima di Amica Chips, realizzata dal creativo Lorenzo Marini, dovrebbero essere – tanto per rimanere nel medesimo campo semantico – benedette. Neanche per sogno: non si sfruttano i sacramenti (e l’eucaristia, ci mancherebbe, è senz’altro fra i più importanti per le chiese cristiane). E non si possono sovrapporre, dice l’Aiart – associazione cittadini mediali, una onlus fondata negli anni Cinquanta su iniziativa dell’Azione cattolica che gode evidentemente di forte ascendente e di un profondo ascolto nel settore radiotv – a un prodotto commerciale.

Come accade nel contestato spot di Amica Chips, dove un sacerdote impartisce l’eucaristia a un gruppo di novizie, o comunque di giovani consorelle, distribuendo una patatina del marchio mantovano anziché l’ostia che ci si aspetterebbe di trovare nella pisside, anche se in una versione questo passaggio neanche si vede. In realtà l’associazione, il cui appello è stato accolto dall’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria che ha poi deciso per la sospensione dello spot, ha usato termini ben più duri e spiegato che la campagna “offende la sensibilità religiosa di milioni di cattolici praticanti oltre che oltraggioso nel banalizzare l’accostamento tra la patatina e la particola consacrata”. Non solo: il presidente Giovanni Baggio lo ha definito “penoso. Il tentativo di risollevare un’azienda ricorrendo alla blasfemia”.

Il lungo rapporto tra religione e pubblicità

In realtà lo spot è originalissimo, innesca un cortocircuito perfetto anche morfologicamente fra l’ostia e la patatina, ha una fotografia molto centrata, fa sorridere per la delicatezza e con la chiusura sulla consorella anziana che sgranocchia senza pietà un sacchetto di patatine (è lei, si scopre dalla versione dello spot dedicata al digitale meno bruciante di quella per la tv, di cui pare esistesse anche un’ulteriore versione ancora più casta, che ha riempito la pisside di sfoglie) ci riporta in modo bruciante persino a certe atmosfere da commedia all’italiana. Insomma non ha davvero nulla di blasfemo e a dirla tutta di ostie non se ne vedono: c’è il rito dell’eucaristia, certo. C’è la forma, certo. Ma a dirla tutta il “corpo di Cristo” non è mai in video. Almeno nelle versioni che sono state diffuse.

Detto questo, davvero nel 2024, a oltre mezzo secolo dalle campagne di Oliviero Toscani per i jeans Jesus, a 13 dal bacio sfiorato fra un prete e una suora – e dopo che ai ministri di dio e a suore, frati e papi il cinema, la tv e la pubblicità hanno (giustamente) fatto fare di tutto e di più, ci si scandalizza per un’idea simile? Dai talent show a Sanremo, dal sedativo fluidificante al Maxibon, da icone delle fiction che ne combinano di tutti i colori (spesso anche fuori da dogmi e compiti che spetterebbero loro, a voler essere fiscali), la religione è entrata da tempo nella grammatica pubblicitaria e mediatica.

Fonte : Wired