In estate avevo bisogno di un medicinale per dare sollievo ai miei bronchi. In una piccola farmacia in Cilento ho chiesto del Fluimucil. Non ce n’era, ma la farmacista mi ha prontamente passato una confezione a base di acetilcisteina, lo stesso principio attivo che fluidifica i muchi presente nel medicinale che avevo richiesto. Per il generico-equivalente ho speso circa 8 euro, a fronte dei circa 12 del prodotto “di marca”. In media i farmaci generici hanno un prezzo del 20% più basso rispetto ai prodotti brevettati. Non sempre però sono reperibili sul mercato.
In Europa i pazienti da una decina d’anni trovano sempre meno farmaci, soprattutto antibiotici ed oncologici. Alcune medicine spariscono dai radar o sono vendute a prezzi proibitivi, come quelle per combattere i tumori o le malattie rare. Intanto le piccole industrie farmaceutiche stanno sparendo a causa di un esorbitante aumento dei costi di produzione, ma anche perché messe ai margini da un sistema dei brevetti che tutela “in eterno” i farmaci sviluppati da “Big Pharma”, quel ristretto numero di grandi industrie che domina il mercato.
Brevetti “infiniti” sui medicinali
I giganti del settore, grazie a modifiche talvolta infinitesimali nella composizione, riescono ad allungare numerosi brevetti ben oltre la loro naturale scadenza, escludendo così la concorrenza dal mercato. Il fenomeno, noto come Evergreening, potrebbe subire un duro colpo grazie alla nuova legislazione proposta nel 2023 dalla Commissione europea. Bruxelles ha proposto un ampio pacchetto di norme che faciliti l’accesso al mercato dei farmaci generici e biosimilari, prodotti di solito da piccole e medie imprese del settore.
La legge sui farmaci voluta da Bruxelles
Oggi 10 aprile toccherà agli eurodeputati votare sulle nuove misure, che potrebbero garantire risparmi consistenti per le casse del Servizio sanitario nazionale (Sns), nonché per le nostre tasche. Se per l’Italia mancano calcoli precisi, El Pais segnala che in Spagna sono previsti circa 800 milioni di euro di risparmio derivanti dall’introduzione di generici per sette farmaci di largo consumo, il cui brevetto scadrà tra il 2024 e il 2026. Per la penisola le cifre potrebbero essere analoghe se i pazienti venissero “educati” a comprare più farmaci equivalenti.
L’Europa ha bisogno di nuovi antibiotici, ma a Big Pharma non conviene produrli (per ora)
Il “pacchetto farmaceutico”, che include una direttiva e un regolamento, potrebbe stravolgere il panorama dell’industria dei medicinali. L’obiettivo è di renderli “più disponibili, accessibili e convenienti”. Una delle misure principali riguarda proprio i brevetti. Al posto degli attuali 10 anni, il testo prevede un periodo minimo di “protezione dei dati” sui medicinali pari a sette anni e mezzo, durante i quali le aziende concorrenti non possono accedere alle informazioni sulle molecole contenute. Per altri due anni, quelli di “protezione del mercato”, i prodotti generici, ibridi o biosimilari sviluppati non possono comunque essere commercializzati. Il periodo di tutela sfiora così i dieci anni. Diventerebbe quindi più rapido creare e vendere farmaci che hanno un prezzo inferiore rispetto a quelli sotto brevetto.
Incentivi per malattie rare
Per il governo dell’Ue la sfida consiste nel trovare il giusto equilibrio tra medicine più accessibili per i pazienti, riduzione della spesa pubblica e competitività dell’industria farmaceutica europea a fronte della feroce concorrenza che arriva da Stati Uniti e Cina. Per questo il “pacchetto Pharma” prevede anche incentivi specifici. È previsto: un anno aggiuntivo di tutela sulla protezione dei dati se il prodotto risponde a “un’esigenza medica insoddisfatta”; sei mesi se vengono condotti studi clinici comparativi o se una parte significativa della ricerca avviene nell’Ue e almeno in parte in collaborazione con enti di ricerca degli Stati membri. Per evitare di accumulare gli incentivi, è comunque previsto un limite massimo di otto anni e mezzo di tutela sulla protezione dei dati. Per i medicinali sviluppati per il trattamento di malattie rare, i cosiddetti “farmaci orfani”, le industrie che brevettano beneficerebbero di un massimo di 11 anni di esclusiva sul mercato.
I fatturati da capogiro dell’industria farmaceutica
I giganti dell’industria farmaceutica non hanno apprezzato questo intervento da parte di Bruxelles. Tra le aziende europee dai fatturati astronomici figurano la tedesca Bayer e la francese Sanofi, ma le principali aziende sono extra-Ue e vedono in testa le statunitensi Johnson & Johnson e Abbvie, le svizzere Hoffmann-La Roche e Norvartis, la britannica Astrazeneca. Nel 2022 la vera padrona del mercato, con un fatturato di oltre 100 miliardi di dollari, è stata la Pfizer di New York, protagonista anche di una inchiesta connessa ai vaccini contro il Covid-19. Nonostante i fatturati da capogiro di queste società, i cittadini europei devono far fronte sempre più di frequente ad una carenza di farmaci.
Secondo l’Efpia, che rappresenta a Bruxelles gli interessi dei titani appena citati, il pacchetto proposto da Bruxelles indebolirebbe il settore e lo priverebbe di importanti investimenti nella Ricerca&Sviluppo. “L’impatto cumulativo delle proposte porterebbe le aziende, sia grandi che piccole, a svolgere ricerca e sviluppo al di fuori dell’Europa”, si legge in un documento dell’Efpia. “Dobbiamo anche fermare e invertire la tendenza al ribasso degli investimenti europei in ricerca e sviluppo, nel numero di sperimentazioni cliniche e nella produzione di medicinali”, ha precisato Nathalie Moll, presidente dell’organizzazione, secondo la quale le nuove norme mineranno la competitività del settore. L’organizzazione contesta anche la misura che impone di lanciare un nuovo medicinale in tutti i 27 Stati membri entro due anni dall’approvazione dell’Ue, perdendo in caso contrario 2 anni aggiuntivi di tutela brevettuale.
Ritardi nell’ingresso sul mercato di generici
Chi produce generici ha una visione del tutto diversa: le proposte della Commissione non ridurrebbero la tutela brevettuale, ma assicurerebbero invece un suo pieno rispetto. “Al suo termine, in tutti gli Stati Membri, la nuova normativa assicura che non vi sia nemmeno un giorno di ritardo nell’arrivo dei farmaci generici”, ha dichiarato a Today.it Stefano Collatina, presidente di Egualia, l’organizzazione delle industrie che producono generici e biosimilari. “In Italia un recente caso generato dall’incertezza della normativa comunitaria ha provocato 6 mesi di ritardo nell’ingresso in commercio di un farmaco generico antidiabetico, generando oltre 9 milioni di euro di mancati risparmi per il servizio sanitario pubblico”, ha aggiunto.
Tramite la strategia dell’Evergreening, le aziende che producono generici vengono spesso portate in tribunale dalle rivali di maggior peso, che fanno leva sull’incertezza relativa alla scadenza del brevetto. Grazie a questa tecnica il farmaco per l’artrite Enbrel, venduto in Italia da Pfizer e che secondo il portale BiopharmaDive avrebbe già generato 70 miliardi di euro di guadagni, potrebbe godere in totale di 37 anni di tutela brevettuale. Un’enormità. “Le norme in discussione impediranno l’estensione anticoncorrenziale dei monopoli oltre la scadenza del periodo di proprietà intellettuale. Non sono misure contrapposte agli intessi dell’industria europea, che anzi ne gioverebbe”, ha precisato Collatina, la cui organizzazione rappresenta 86 aziende produttrici di generici. I brevetti non sono però l’unico ostacolo.
Poca propensione a comprare gli equivalenti
Un recente rapporto di Nomisma ha messo in luce la necessità di diffondere una cultura più propensa all’acquisto di generici, poco diffusi tra i consumatori italiani. Siamo troppo affezionati ai marchi o poco educati da medici e farmacisti a queste alternative? Mentre in Europa gli equivalenti nel 2022 sono arrivati a conquistare il 67 per cento del mercato, in Italia siamo fermi al 22 per cento. Questo nonostante gli equivalenti siano da considerare dei “gemelli” rispetto a quelli brevettati, in termini sia di molecole utilizzate che di dosi. Se ne fa un uso maggiore nella provincia autonoma di Trento (43,8%), in Friuli Venezia Giulia (40,9%) e in Piemonte (39%). Male invece le vendite di Sicilia (22%), Campania (21,4%) e Calabria (21,3%). Con una quota maggiore di generici, rimborsati del tutto o in parte dal Ssn, si ridurrebbero le spese sia per lo Stato che per gli utenti.
Il grande cerchio dei pazienti esclusi
In parallelo c’è il discorso per i biosimilari, medicinali “simili” a quelli di riferimento in termini di qualità, efficacia e sicurezza, ma che presentano leggere differenze rispetto a quelli brevettati. Secondo un recente studio, entro il 2032 oltre 110 farmaci coperti da brevetto andranno in scadenza, aprendo in Europa un mercato da 30 miliardi di euro, pari a circa 15 miliardi potenzialmente risparmiati dal settore pubblico e dai cittadini dell’Ue. Tra i 26 prodotti più venduti quasi un medicinale su tre (27%) è però privo al momento di un candidato biosimilare. Le aziende, che necessitano tra 7 e 10 anni per sviluppare un prodotto di questo tipo, neppure li hanno messi in agenda.
I dati peggiori riguardano le categorie dei prodotti a “bassa vendita”, per i quali si prevedono meno di 500 milioni di euro di vendite annuali in Europa al momento della scadenza. Nei prossimi 10 anni solo il 7 per cento avrà un prodotto concorrente. Situazione ben peggiore per i farmaci orfani, dove solo un farmaco ha attratto finora lo sviluppo di biosimilari. Con meno prodotti in circolazione e nelle mani di pochi produttori, le spese per le cure di determinate malattie resteranno elevatissime e sostenibili solo per una ristretta cerchia di persone. Il circolo dei pazienti “esclusi” si allargherà invece sempre di più.
Fonte : Today