Perché le truppe di Israele si sono ritirate dal sud di Gaza?

Nella notte tra il 6 e 7 aprile, i soldati israeliani hanno lasciato Khan Yunis. Dopo quattro mesi, l’operazione militare in questa città, la seconda più grande dell’esercito con la Stella di David dall’inizio della guerra, è terminata. Il ritiro è arrivato poche ore dopo l’uccisione di quattro riservisti israeliani di pattuglia nella città da un gruppo di mujaheddin. Adesso, le Forze di Difesa Israeliane non hanno più truppe di terra nel sud della Striscia di Gaza. A operare nell’area rimane solo la Brigata Nahal, che tiene in sicurezza il ‘corridoio Netzarim’, la strada che divide la Striscia di Gaza.

Il ritiro della 98ma Divisione di fatto significa la fine “della manovra di terra cominciata il 27 ottobre scorso” a favore della cosiddetta Terza Fase programmata dall’Idf che prevede un’altra strategia di guerra, hanno riferito fonti militari ai media israeliani, sottolineando che l’esercito “è ora in attesa di una decisione da parte dei vertici politici sulla possibile azione militare a Rafah” (a ridosso dell’Egitto), dove ci sono gli ultimi battaglioni di Hamas, ma anche centinaia migliaia di sfollati palestinesi. Questo non vuol dire – hanno detto fonti militari a Ynet – che “se necessario l’esercito non potrà tornare a Khan Yunis”.

La strategia

Il ritiro delle truppe israeliane dal sud di Gaza deve quindi sorprendere? Negli ultimi mesi Israele ha significativamente ridotto il numero delle sue truppe sul terreno nella Striscia. Un passo indietro notevole. Dopo il 7 ottobre scorso, il governo Netanyahu ha lanciato una sanguinosa offensiva (che ha portato alla morte di oltre 33mila civili palestinesi) per prendere il controllo di zone consistenti di territorio dove è stato imposto un comando “strategico”, che però non ha impedito il ritorno dei guerriglieri. 

Per questo, a sei mesi dell’inizio del conflitto e con un’offensiva che si presenta fallimentare, il premier israeliano cerca di cogliere di sorpresa i miliziani di Hamas per ottenere quella “vittoria totale” che Netanyahu proclama da tempo. Ai suoi cittadini, che da sei mesi chiedono il ritorno degli ostaggi nelle mani dei miliziani palestinesi, Bibi ha promesso l’eliminazione di Hamas e dei suoi vertici Yahya Sinwar e Mohammed Deif. È probabilmente l’ultima mossa che il premier più longevo a capo dello Stato di Israele pensa per mantenere ancora saldo il timone del governo e rispondere alle pressioni degli Stati Uniti e di chi chiede elezioni anticipate, come Benny Gantz, che ha lasciato l’opposizione per entrare nel consiglio ristretto di guerra. 

Il timore di un’offensiva a Rafah

Al momento, però, non è chiaro se il ritiro della 98ma Divisione farà seguito a un’offensiva di terra israeliana a Rafah, la città più meridionale di Gaza, dove più di un milione di persone hanno cercato rifugio. Il ministro della difesa israeliano, Yoav Gallant, ha affermato che l’esercito si sta preparando per “missioni di follow-up” che includevano Rafah. “Raggiungeremo un punto in cui Hamas non controllerà più la Striscia di Gaza e non funzionerà più come una struttura militare che rappresenta una minaccia per i cittadini dello Stato di Israele”, ha dichiarato. È dunque cominciata la Terza Fase quella “dei raid mirati e limitati, come nel caso dell’ospedale Shifa a Gaza City”, hanno chiarito fonti militari ai media israeliani. Oltre a Rafah, l’esercito è intenzionato a operare a Deir el-Balah nel centro della Striscia. Secondo l’Idf, la partenza da Khan Yunis “consentirà ulteriori opportunità operative e di intelligence”.

Le stesse fonti hanno evidenziato che la decisione di far rientrare tutte le truppe di terra combattenti dall’area di Khan Yunis non ha nulla a che vedere “con la pressione Usa esercitata su Israele”, quanto piuttosto la volontà di “lasciare spazio” nella zona agli sfollati palestinesi “se e quando sarà condotta l’operazione a Rafah” ma anche di far tornare i residenti alle loro case di Khan Yunis. L’amministrazione Biden ha più volte avvertito il premier israeliano che un’invasione di terra di Rafah sarebbe catastrofica, invitando Netanyahu a cercare alternative militari per proteggere i civili. Appello caduto nel vuoto. Il premier israeliano continua a insistere sul fatto che Tel Aviv è determinata a “completare l’eliminazione di Hamas in tutta la Striscia, compresa Rafah”.

La distruzione lasciata dall'offensiva aerea e terrestre israeliana dopo il loro ritiro da Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza (LaPresse)

A fare eco alle parole di Bibi è il capo di stato maggiore delle forze armate di Israele, tenente generale Herzi Halevi, che ha dichiarato: “Il ritiro delle truppe israeliane dalla parte meridionale della Striscia non significa che la guerra contro Hamas sia finita: anzi, sarà ancora lunga”. Per Halevi, “la guerra a Gaza continua e siamo lontani dal fermarci. Gli alti funzionari di Hamas sono ancora nascosti. Li raggiungeremo prima o poi. Stiamo facendo progressi, uccidendo sempre più terroristi e comandanti e distruggendo sempre più infrastrutture terroristiche”, ha affermato, secondo quanto riporta il Times of Israel. 

La pressione dell’estrema destra israeliana sul premier Netanyahu

Il premier israeliano deve rispondere anche alle pressioni del suo governo. Il ministro della Sicurezza nazionale – e leader di destra radicale – Itamar Ben Gvir ha lanciato un monito: “se Netanyahu decide di porre fine alla guerra senza un attacco esteso a Rafah per sconfiggere Hamas, non avrà il mandato per continuare a servire come primo ministro”.

Un attacco alla città meridionale della Striscia – dove ci sono almeno un milioni di profughi e rifugiati palestinesi – avrebbe conseguenze devastanti per il futuro politico di Netanyahu: perderebbe il sostegno dello storico alleato degli Stati Uniti e vedrebbe il moltiplicarsi di fronti esterni. Oltre al Libano, ci sono minacce da Siria, Iraq, Yemen e Iran. 

Ancora una volta si registra una ‘fumata nera’ dai negoziati per un cessate il fuoco a Gaza e un accordo per il rilascio degli ostaggi. Nonostante l’ottimismo dell’Egitto, che ha parlato di “progressi significativi su diversi punti controversi”, le delegazioni di Hamas e Israele hanno lasciato il 7 aprile la capitale egiziana ancora una volta senza un accordo. Una fonte informata di Hamas ha detto all’emittente Al-Jazeera che non ci sono progressi e che Israele non ha risposto a nessuna delle richieste dell’organizzazione islamista, che chiedono il cessate il fuoco, il ritiro dalla Striscia, l’ingresso di aiuti umanitari, il ritorno degli sfollati di Gaza e uno scambio di prigionieri. 

Fonte : Today