Influenza aviaria, una mucca da latte ha contagiato una persona: scatta l’allarme

Il virus dell’aviaria torna a fare paura. L’allarme è scattato dopo che c’è stato il secondo caso umano di aviaria negli Stati Uniti, in Texas, in un lavoratore del settore lattiero-caseario che era entrato in contatto con bovini infetti. La persona è risultata positiva negli Stati Uniti all’attuale ceppo H5n1
dell’influenza aviaria ad alta patogenicità attraverso bovini da latte. 

Il dipartimento dell’Agricoltura statunitense ha infatti confermato nella giornata del 2 aprile la presenza di bovini da latte infettati dal virus dell’influenza aviaria A/H5N1 in un allevamento in Idaho. È il quinto Stato americano a essere interessato dall’epidemia dopo Texas, Kansas, Michigan e New Mexico. Le indagini preliminari hanno concluso che il ceppo di virus rilevato nell’ultimo caso è simile a quello riscontrato in precedenza negli Stati americani del Texas e Kansas e che sembra essere stato introdotto dagli uccelli selvatici. 

Finora non ci sono segnali che la malattia si diffonda più facilmente tra le persone, secondo i funzionari americani. Secondo gli esperti, le autorità di diversi settori dovrebbero comunque collaborare in un’ottica di One Health per limitare l’esposizione dei mammiferi, compresi gli esseri umani, ai virus dell’influenza aviaria.

È sicuro consumare il latte?

Al momento, sottolineano le autorità statuentesi, il livello di rischio per la salute umana resta basso; tuttavia, le persone con esposizioni strette o prolungate e non protette ad animali infetti o ambienti contaminati sono a maggior rischio di infezione. 

I funzionari federali hanno sottolineato che il latte venduto al grande pubblico rimane sicuro da bere. Nessuna preoccupazione per quel che riguarda il latte commerciale “perché i prodotti vengono pastorizzati prima di entrare sul mercato”, precisa il dipartimento dell’Agricoltura. 

Uno scenario mutevole

Tuttavia, lo scenario potrebbe cambiare, in particolar modo in Unione Europea. Ne è convinto il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) che, attraverso le parole di Angeliki Melidou, principale esperto Ecdc di virus respiratori, lancia un monito: “La trasmissione” dell’influenza aviaria “da uccelli infetti all’uomo rimane un evento raro, senza che sia stata identificata alcuna infezione umana confermata nell’Ue/Spazio economico europeo. Tuttavia, la possibilità che i virus dell’influenza aviaria si adattino agli esseri umani e causino una pandemia rimane motivo di preoccupazione”. 

L’allarme suona già nel Vecchio Continente. “Il virus dell’influenza aviaria continua a diffondersi nell’Unione europea, e altrove, provocando un’elevata mortalità tra gli uccelli selvatici, spillover (cioè i salti di specie) tra i mammiferi selvatici e domestici e focolai negli allevamenti”. A evidenziarlo è l’Autorità europea per la sicurezza alimentare Efsa, in una nota in cui fa il punto su quanto emerge da un rapporto scientifico firmato insieme al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), nel quale si valutano i fattori di rischio per una potenziale pandemia influenzale e le relative misure di mitigazione.

Il rischio di spillover

Quali sono le condizioni che potrebbero guidare l’evoluzione virale? Gli esperti hanno identificato alcune specie di animali da pelliccia d’allevamento (ad esempio visoni o volpi), che sono altamente sensibili ai virus dell’influenza, come possibili fattori di diffusione. “Sebbene la trasmissione da mammifero a mammifero non sia stata ancora confermata, i mammiferi selvatici potrebbero fungere da ospiti ‘ponte’ tra gli uccelli selvatici, gli animali domestici e gli esseri umani. Anche gli animali da compagnia, come i gatti, che vivono in casa e hanno accesso all’esterno, in ambienti all’aria aperta, possono essere un potenziale veicolo di trasmissione”, avvertono le autorità europee.

L’allevamento in aree ricche di uccelli acquatici, con produzione all’aperto e/o scarsa biosicurezza, “può facilitare l’introduzione del virus nelle aziende agricole e la sua ulteriore diffusione”, prosegue l’Efsa. “Gli eventi meteorologici estremi e i cambiamenti climatici – sottolinea – svolgono un ruolo aggiuntivo nell’evoluzione della situazione perché possono influenzare l’ecologia e la demografia degli uccelli selvatici e quindi influenzare il modo in cui la malattia si sviluppa nel tempo, hanno scoperto gli esperti”.

Fonte : Today