I gamer professionisti vedono meglio delle persone normali?

Un recente studio condotto dal Trinity College di Dublino propone una spiegazione scientifica all’abilità dei gamer professionisti nei videogiochi più impegnativi come per esempio Fortnite, Pubg, Valorant, Counter-Strike 2, i vari Call of Duty oppure ancora Rainbow Six: Siege, ma anche Tetris. Il segreto sarebbe la capacità innata di poter vedere più fotogrammi al secondo (fps) delle persone normali, con una conseguente maggiore reattività agli stimoli e un vantaggio netto nelle situazioni in cui ogni frazione di secondo può essere decisiva per evitare pericoli oppure far fuori (virtualmente) avversari, in modo particolare nei tornei online di eSports.

Una postazione da gioco di alto profilo con i vari top di gamma nei componenti come processore, scheda grafica, memorie e con periferiche dedicate al gaming può fare la differenza nelle sfide online, perché garantisce una maggiore fluidità e la possibilità di percepire più dettagli nei momenti più delicati. Ma la vera differenza potrebbe derivare da un’abilità innata di alcune persone che possono percepire più fotogrammi al secondo del normale. Lo studio pubblicato dal ricercatore Clinton Haarlem si concentra sulla risoluzione temporale, ovvero la capacità di distinguere i segnali visivi per poi reagire in modo tempestivo. Il test si è basato sull’osservazione di una luce pulsata a un determinato intervallo di frame, coinvolgendo 80 volontari tra i 18 e i 35 anni. A 35 volte al secondo, il più delle persone vede una luce fissa, ma c’è chi riesce a percepire gli impulsi. Di più: un campione ristretto di tester riusciva osservare il lampeggiamento anche a 60 frame al secondo, con una distribuzione uniforme tra generi. È emerso un netto vantaggio nella fascia d’età più verde, una possibile spiegazione del perché molti record vengono infranti da gamer giovanissimi.

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Non si può non notare come lo studio sia stato ufficializzato il 1 aprile e quindi molti lo hanno scambiato per un pesce. In realtà non lo è: si può leggere per integrale la documentazione sul noto journal scientifico open access Plos One e anche sul sito ufficiale del Trinity College di Dublino.

Fonte : Wired