Inaugurata nel fine settimana a sud della capitale la prima cappella dedicata al patrono della Confederazione svizzera e alla moglie Dorotea. Esso si trova nel convento di Notre-Dame de la Plaine, casa di riposo appartenente ai greco-melkiti. Eremita del XV° secolo, egli ha salvato la propria patria dalla guerra civile e le ha saputo istillare il valore fondante: la neutralità.
Beirut (AsiaNews) – I cristiani del Libano non vivono al ritmo del loro anno liturgico. Altri calendari e altri fatti scandiscono la loro vita quotidiana: la guerra a Gaza, i bombardamenti israeliani nel Paese, il vuoto legato all’elezione presidenziale carica vacante ormai da tempo, il valzer delle etichette sugli scaffali dei banchi alimentari, etc. Ed è in questo clima di profonda difficoltà che le Chiese cattoliche vivono il tempo di Pasqua e la Chiesa (cattolica) greco-melkita in Libano, in particolare, ha inaugurato lo scorso 23 marzo a Damour (a sud di Beirut) una nuova cappella dedicata a san Nicolao della Flüe (1417-1487), patrono della Confederazione elvetica, e alla sua sposa Dorotea.
La nuova cappella si trova posizionata in uno degli angoli della larga facciata del convento di Notre-Dame de la Plaine, casa di riposo per la terza età gestita dalla congregazione greco-cattolica dei missionari dell’Annunciazione. A celebrare la messa inaugurale è stato mons. Georges Bacouni, arcivescovo di Beirut dei greco-melkiti, alla presenza di una piccola folla di fedeli in cui vi era pure Christine Thomi, in rappresentanza dell’associazione Solidarité Liban-Suisse, che ne ha assicurato il completamento e ispirato la dedica.
Uomo di pace e straordinario mediatore, questo eremita del XV° secolo ha salvato la propria patria dalla guerra civile e le ha saputo istillare il suo valore fondante, la neutralità. Diventato eremita, con il consenso della propria sposa, la sua “cara Dorotea” come l’ha chiamata per tutta la sua vita, “Frère Nicolas” ha trascorso i successivi 17 anni di vita nel digiuno e nella preghiera. Questo gigante di santità è adulato e riverito nel suo Paese (la Svizzera) come lo è per noi, in Libano, san Charbel. Ed è anche per questo che l’associazione Solidarité Liban-Suisse pone molta speranza nel gemellaggio delle santità dei due uomini.
Il nome di Damour, peraltro, è associato a uno dei drammi inaugurali – e dei fatti più sanguinosi – della guerra libanese (1975-1990). Nel gennaio 1976 in quell’area si è infatti consumato un massacro le cui conseguenze si protraggono ancora oggi nel tempo: qui circa 500 civili hanno perso la vita, colpiti a bruciapelo e uccisi da palestinesi armati. Il resto della popolazione è stato evacuato in extremis, via mare, verso le zone cristiane di Beirut.
A distanza di mezzo secolo, fra le 3 e le 4mila famiglie originarie di Damour si sono reinsediate nell’area. Secondo Béchara el-Khoury, membro eletto del consiglio comunale locale, si tratta “di circa un terzo degli abitanti dell’agglomerato urbano”. “La guerra si è protratta per troppo tempo e, non potendo più tornare alle loro abitazioni, in molti si sono stabiliti altrove” aggiunge il consigliere comunale, il quale deplora pure il fatto che non sia stato intrapreso alcun progetto di sviluppo rendendo di fatto la cittadina “una terra morta”. Va peraltro notato che una base militare palestinese “dormiente” si trova ancora inspiegabilmente a Naamé, a pochi chilometri da Damour.
Il convento di Notre-Dame de la Plaine è costruito sulle prime colline spoglie che sormontano la cittadina, alla sua estremità meridionale. Si tratta di un grande edificio, di cui alcune ali attendono ancora i fondi necessari per essere completate. Inoltre il complesso, che in futuro potrebbe ospitare un centro di fisioterapia e cliniche, è costruito su un terreno donato da Asma Goraieb e finanziato dai filantropi e benefattori della comunità.
Per l’occasione fedeli e religiosi presenti, fra cui Thérèse Roukoz, superiora della Congrégation des Soeurs Basiliennes Salvatoriennes N. D. De l’Annonciation, circondata da una quarantina di suore e alcuni monaci, hanno assistito quel giorno a una liturgia insolita: la dedicazione dell’altare. La cerimonia aveva tutte le caratteristiche di un “battesimo” ha spiegato il vescovo. Essa comprendeva: il lavaggio della superficie; l’unzione dei quattro lati con l’olio santo; l’inserimento di una reliquia in una cavità della superficie; la sigillatura con la cera di una candela; l’apparecchiatura dell’altare con due tovaglie e un contorno dentellato; l’installazione della Croce.
Nell’omelia mons. Bacouni ha ricordato che prima del 1975 Damour comprendeva una parrocchia greco-cattolica e una chiesa, ancora oggi in rovina, confermando indirettamente le parole del consigliere comunale riguardo a una guerra ancora incompiuta e irrisolta. E perché? Perché “questa regione non ci appartiene” assicura un deputato, dietro anonimato. Ma cosa significa una regione che “appartiene” ai cristiani? Una regione in cui essi sono in maggioranza e in cui detengono il potere decisionale. Ma la Chiesa è solo questo? Non è forse anche il “lievito buono” che fa crescere e sviluppare l’intera società grazie al suo codice di condotta, alla sua fede in Cristo e alla sua benevolenza?
L’arcivescovo di Beirut lo ha sottolineato con la sua caratteristica familiarità di tono, quando ha incentrato la sua omelia sull’epistola di san Paolo, in cui l’apostolo esorta i fedeli a “non essere ansiosi”, ma presentare tutte le loro suppliche a Dio “con rendimento di grazie”. In altre parole, ringraziando Dio in anticipo per le grazie che sta per concedere e mostrando al mondo un volto sereno e gioioso, anziché chiuso e imbronciato.
Il discorso dell’arcivescovo sarà infine seguito da un breve intervento di Christine Thomi, delegata dalla sua associazione a partecipare alla cerimonia. Siamo venuti a sapere che si tratta del primo altare in Libano dedicato a san Nicolao della Flüe, e probabilmente il primo al mondo dedicato a lui e Dorotea. Non potrebbe essere questo il segno di vita e di rinnovamento atteso dal sindaco della città? È nascosta in un convento di Damour come discreta promessa di resurrezione per una parrocchia decimata dalla guerra, ma di cui rimane un ceppo di santità da cui tutto rifiorirà.
Fonte : Asia