Perché è importante non sottovalutare Raiplay

Parliamo di Raiplay, la piattaforma della Rai, solo quando c’è Sanremo o un altro grande evento televisivo, come la serie di Mare Fuori (tra parentesi: da qualche giorno è uscito il libro pubblicato da Solferino e Rai Libri, ed è un ottimo modo di adattare un linguaggio complesso e articolato come quello seriale). Per il resto del tempo – per il resto dell’anno – tendiamo a ignorarla. Ed è un peccato. Perché è un archivio importante di offerte e di proposte, e c’è bisogno di imparare a usarlo come si deve. Per esempio: ogni volta che sulle reti Rai va in onda qualcosa, un film, una serie o un programma, il giorno dopo – talvolta, addirittura, a distanza di poche ore – viene ricaricato su Raiplay.

Ennio, il documentario di Giuseppe Tornatore dedicato a Ennio Morricone, è stato trasmesso pochi giorni fa su Rai1 ed è stato un successo. Di ascolti e di critica (ma quella c’è sempre stata, fin dalla primissima proiezione). Ora Ennio è in streaming su Raiplay, in chiaro, disponibile per tutti – basta registrarsi per poterlo vedere. Ed è una notizia importante, visto quanto tempo è passato tra la distribuzione al cinema e la sua uscita on demand. È ancora più importante, probabilmente, perché Raiplay permette una diffusione più capillare e larga dei propri titoli.

La vera Netflix italiana della cultura

Non abbiamo bisogno di una Netflix italiana della cultura: ce l’abbiamo già. E nonostante i tantissimi sforzi che si fanno internamente – da chi si occupa della manutenzione a chi supervisiona la linea editoriale e le produzioni originali –, all’esterno c’è sempre qualche ritardo e resistenza. Raiplay andrebbe immaginata come un contenitore-canale, come uno spazio, cioè, in cui non solo raccogliere le cose che sono andate in onda la sera precedente, ma pure quei progetti più o meno innovativi, più o meno rivolti a un target più giovane, che sulla televisione lineare finirebbero per essere ignorati.

Pensiamo a quello che, in questi mesi, sta facendo Giovanni Benincasa con la sua Conferenza stampa o al nuovo programma di Valerio Lundini, Faccende complicate. Il problema, se di problema vogliamo parlare, è sempre lo stesso: il modo in cui si pensa, e si parla, di Raiplay. Viene sottovalutata, messa da parte, tacciata di essere vecchia e difficile da usare – forse era così una volta; oggi, francamente, ha una delle interfacce grafiche più semplici e intuitive del mercato on demand. Non c’è bisogno di lanciarsi in analisi esaltate o festanti (l’eccesso fa sempre male, sempre). Perché è chiaro: finché Raiplay non verrà vista come una risorsa anche dai produttori/distributori generalisti, continuerà a essere estremamente complicato riuscire a valorizzarla.

Un laboratorio per il futuro

Raiplay può essere come un laboratorio, e in parte lo è già: da qualche giorno, è disponibile la puntata pilota de L’effetto Dorothy, serie mockumentary vincitrice del premio Solinas, scritta da Luca Avagliano e Gregory Eve, diretta da Valerio Attanasio e prodotta da Rai Fiction, Premio Solinas e Movimenti Production (gli stessi, per intenderci, dei lavori di Zerocalcare). È un esperimento, ed è evidente. I riferimenti a The Office sono piuttosto dichiarati, anche se in questo caso non ci troviamo in un ufficio ma in un’università e il protagonista, interpretato da Ninni Bruschetta, è un professore.

La quarta parete viene sfondata in continuazione e il tono documentaristico si mischia, com’è giusto, con la finzione. Il risultato finale, pur con i suoi limiti, funziona. È divertente e fa ridere (giocare con i luoghi comuni, prenderli in giro, ha questo obiettivo). La stessa idea di ambientare la storia in un’università italiana è intelligente. Perché permette di mettere in risalto le contraddizioni e le assurdità – gli incarichi precari che non finiscono mai, gli assegnisti, i collaboratori, la fuga di cervelli; c’è tutto.

La funzione di ricerca, se vogliamo chiamarla così, di Raiplay non si ferma a questo. Può avere un valore anche quando parliamo di comunicazione e marketing. Mare Fuori è stata un successo in streaming. Certo, prima di tutto lo è stata su Netflix. Ma non appena ci sono stati segnali incoraggianti Raiplay non è rimasta a guardare. La nuova stagione, per esempio, è arrivata prima on demand e solo successivamente in tv. E questo è un ottimo modo per intercettare il pubblico di riferimento di un particolare prodotto.

Raiplay può diventare un contenitore pure per linguaggi specifici, come l’animazione. O per prodotti verticalissimi come il documentario. Ma, e qui azzardiamo un’ipotesi, può essere anche il canale privilegiato per ricostruire una programmazione più intelligente rivolta ai ragazzi e per dare spazio a un certo tipo di produzioni. Noi siamo leggenda, diretta da Carmine Elia, va esattamente in questa direzione. Raiplay non ha né i problemi né i limiti dei canali tradizionali. Non ha slot limitati (sorpresa: Internet non finisce); non deve sottostare a determinati orari o slot. C’è la pubblicità, ma è un preroll piuttosto contenuto. Davvero, Raiplay può essere lo strumento ideale per una rivoluzione interna e profonda della Rai. Non sottovalutiamola.

Fonte : Today