Perché il comune di Bari rischia di essere sciolto per mafia

Antonio Decaro è uno dei sindaci che gode del più alto consenso d’Italia e non è un caso che il centrodestra, a Bari, fatichi a trovare un candidato credibile che possa mettere in discussione una stagione di governo iniziata con Michele Emiliano nel 2004 e arrivata ai giorni nostri con un indice di gradimento forse unico nel Paese. Per questo l’iniziativa del ministro Matteo Piantedosi, che ha inviato in città una commissione d’accesso per valutare l’eventuale infiltrazione criminale nell’amministrazione comunale, è stata da molti interpretata come un’ingerenza politica. Piantedosi ha motivato la sua decisione come naturale conseguenza dell’inchiesta che ha coinvolto 130 persone legate ai clan, due delle quali sedevano in consiglio comunale. Per il ministro dell’Interno, le presunte infiltrazioni malavitose nelle istituzioni, sommate a quelle dell’Amtab spa, la società dei trasporti della città già da un anno in amministrazione giudiziaria, giustifica un intervento di tale portata da parte del Viminale.

Cosa sta succedendo a Bari e perché c’è uno scontro durissimo tra il sindaco Decaro e il Viminale

Una tesi che non convince le opposizioni, che sono scese in piazza a difesa del sindaco gridando al golpe. La prima anomalia che registrano, è che il ministro ha agito su richiesta di esponenti della maggioranza di centrodestra, non della magistratura inquirente. La seconda è che le figure politiche coinvolte nell’inchiesta sono le consigliere comunali Francesca Ferri e Maria Carmen Lorusso – entrambe elette in partiti del centrodestra – e il marito di quest’ultima, Giacomo Olivieri, ex consigliere regionale. I fatti contestati risalgono alla campagna elettorale del 2019, quella in cui le persone coinvolte nell’inchiesta si opponevano alla rielezione di Decaro. Le due consigliere sono poi salite sul “carro del vincitore” entrando in maggioranza. Dalla maggioranza si fa quadrato intorno al titolare del Viminale, in primis la premier Giorgia Meloni, che ha accusato di “atteggiamento vergognoso” le minoranze.

Le parole infelici di Michele Emiliano

Decaro succede all’attuale presidente della Regione Puglia nel 2014, polverizzando gli sfidanti con il 65 per cento dei consensi; cinque anni dopo fa il bis, migliorando la prestazione con il 66 per cento. È uno di quegli amministratori che, se non ci fosse il limite dei due mandati, potrebbe governare anche per mezzo secolo: una specie di Luca Zaia del Tavoliere. Per la stragrande maggioranza dei cittadini baresi, il sindaco è l’uomo che ha fatto rinascere il centro storico, un tempo bronx inaccessibile, ma è anche un simbolo dell’antimafia, di una politica che finalmente non si piega ai voleri delle cosche e per questo vive sotto scorta. Un lavoro iniziato con Michele Emiliano, che di Decaro è stato il mentore e che ora rischia di compromettergli la reputazione per un’uscita decisamente infelice. “Un giorno – ha raccontato Emiliano durante la manifestazione a sostegno del sindaco – sento bussare alla porta, Decaro entra bianco come un cencio e mi dice che era stato a piazza San Pietro e uno gli aveva messo una pistola dietro la schiena perché lui stava facendo i sopralluoghi per la ztl a Bari vecchia. Lo presi e in due andammo a casa della sorella di Antonio Capriati, che era il boss del quartiere, e andai a dirle che questo ingegnere è assessore mio e deve lavorare perché c’è il pericolo che qui i bambini possano essere investiti dalle macchine. Quindi se ha bisogno di bere, se ha bisogno di assistenza te lo affido”.

Parole che hanno scatenato gli esponenti della maggioranza, che hanno gridato alla “trattativa Stato mafia”: “Il Comune va sciolto, il Viminale proceda quanto prima. Dopo l’autodenuncia di Emiliano è impossibile continuare ad avere in carica un presidente di Regione e un sindaco che si affidano alla sorella di un boss”, aveva detto il vicesegretario della Lega, Andrea Crippa. Parole che avevano suscitato una dura reazione del sindaco, che aveva dato dello “smemorato” al presidente della Regione: “Emiliano – ha detto Decaro – non ricorda bene. È certamente vero che lui mi diede tutto il suo sostegno, davanti alle proteste di buona parte del quartiere, quando iniziammo a chiudere Bari Vecchia alle auto, ma non sono mai andato in nessuna casa di nessuna sorella”. Lo stesso governatore aveva poi ritrattato, ammettendo di non ricordare bene l’episodio, ma ormai la frittata era fatta.  

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Nel frattempo, si sono insediati i tre componenti della commissione inviata dal Viminale, che probabilmente concluderà il suo lavoro quando l’attuale consiglio comunale sarà già stato sciolto per scadenza naturale. Il presidente è Claudio Sammartino, prefetto in pensione. Gli altri due sono Antonio Giannelli (viceprefetto) e Pio Giuseppe Stola, maggiore della Scico, il servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata della guardia di finanza, hanno un loro ufficio in prefettura. Dovranno leggere e valutare il corposo fascicolo della della Dda in cui sono contenute le accuse che hanno portato, a febbraio, ai 130 arresti. I tre commissari hanno tre mesi di tempo, prorogabili a sei, per fare una relazione da consegnare al prefetto che, solo a quel punto, dovrà tirare le conclusioni e formulare una proposta al ministro dell’Interno. Un eventuale scioglimento dovrà essere disposto con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del ministro dell’Interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri entro tre mesi dalla trasmissione della relazione. Un tale provvedimento quindi andrebbe a colpire il nuovo consiglio comunale, per il quale si vota l’8 e il 9 giugno prossimi. 

Don Ciotti: “Dobbiamo evitare le strumentalizzazioni”

A difendere Decaro è sceso in campo il presidente di Libera, Don Luigi Ciotti, anche lui sceso in piazza a sostegno del primo cittadino del capoluogo pugliese: “Bisogna evitare le strumentalizzazioni. E bisogna che le persone quando parlano misurino le loro parole. Sulla vicenda di Bari nascono delle strumentalizzazioni, congetture e manovre. Si incrociano interessi e si porta su un altro piano la serietà e l’impegno politico di persone che hanno sempre lottato contro le mafie. È brutto quello che sta avvenendo e c’è chi cavalca anche questo. E per questo c’è bisogno che emergano le verità. Ho difeso dal primo momento un sindaco che conosco da anni per la sua chiarezza e la sua trasparenza. Abbiamo il dovere di non lasciare sole le persone che ci hanno messo la faccia. “In quel contesto la frase è stato un errore” ha commentato invece il segretario di Sinistra Italiana e deputato di Alleanza Verdi Sinistra, Nicola Fratoianni: “A sentire Decaro, il quale dice che l’incontro non c’è stato – ha spiegato intervenendo alla trasmissione ‘Un giorno da pecora’ – allora no, Emiliano ha fatto male. E se poi il governatore stesso ha confermato di aver ricordato male, beh, allora ha fatto doppiamente male”, ha concluso.

Mulè (Fi): “Il centrodestra si dia una calmata”

E una sponda a Decaro arriva anche dal centrodestra. “Io sto con Silvio Berlusconi, sto con il risorgimento del garantismo. Io non tifo ‘Gogna Italia’. Non raccogliamo le pietre che sono servite a lapidarci” commenta il vicepresidente della Camera ed esponente di Forza Italia, Giorgio Mulè, intervistato dal Foglio. “Forza Italia – continua – porta sul suo corpo le cicatrici del becero giustizialismo. Diamoci una calmata”.

Fonte : Today