Sono stati inviati diversi messaggi nello spazio dagli anni ’60 in poi, tutti avevano un elemento comune: raccontare l’umanità. Nessuno al momento ha mai ricevuto una risposta.
Tutto è iniziato con un grande triangolo e tre quadrati scavati nella tundra siberiana. È il 1820 e gli umani stanno provando a comunicare con gli alieni. L’astronomo Joseph Johann Littrow propone anche di costruire trincee giganti nel Sahara da incendiare con il cherosene per mandare ogni notte un segnale diverso. Da secoli si parla di vita extraterrestre e c’è anche chi sostiene di aver trovato le prove. Nel 1623 Giovanni Keplero scrive di aver visto attraverso il suo telescopio città murate sulla Luna, a fine ‘800 Giovanni Schiaparelli invece è convinto di aver trovato dei canali su Marte.
Ora, Keplero visse nelle città murate europee, e Schiaparelli è stato testimone delle folli imprese per la costruzione dei canali. I loro sforzi, cosmici e provinciali allo stesso tempo, non erano altro che proiezioni. D’altronde è difficile immaginare organismi di altri mondi che in qualche modo non riflettano il nostro. Poi arriva la radio. Si abbandonano le trincee e le figure geometriche scavate nella terra per inviare messaggi interstellari.
Qualcosa di molto simile al progetto Costa Rossa della serie “Il problema dei tre corpi” ispirata al romanzo di Cixin Liu. E infatti l’astrofisico Frank Drake nel 1960 avvia il Progetto Ozma, un tentativo di rilevare segnali radio provenienti da alieni che vivevano attorno a due stelle vicine: il primo esperimento moderno per la ricerca di intelligenza extraterrestre. La differenza tra la serie fantascientifica e la realtà è che noi non abbiamo mai ricevuto una risposta. E nonostante secoli di maldestri tentativi e investimenti multimilionari siamo ancora bloccati al paradosso di Fermi.
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Cosa dice il paradosso di Fermi
“Dove sono tutti quanti?”, chiede a un certo punto il fisico italiano Enrico Fermi. Siamo a Los Alamos, è il 1950, sta pranzando con i colleghi fisici Edward Teller, Herbert York ed Emil Konopinski. Quella domanda è il punto di partenza per il paradosso, ovvero la discrepanza tra la mancanza di prove conclusive dell’esistenza di vita extraterrestre avanzata e l’alta probabilità della sua esistenza.
D’altronde ci sono circa 400 miliardi di stelle nella Via Lattea e circa due trilioni di galassie nell’universo, e secondo i risultati del telescopio spaziale Kepler, ogni stella nel cielo è circondata da almeno un pianeta. Tradotto in numeri parliamo di trilioni e trilioni di mondi possibili per sviluppare una vita, almeno in teoria. Perché allora siamo immersi nel Grande Silenzio, come lo chiamano i ricercatori del Seti (Search for Extraterrestrial Intelligence) Institute di Mountain Valley?
Sono state proposte diverse soluzioni al paradosso, tra cui l’ipotesi che tutte le civiltà, una volta raggiunta una capacità tecnologica sufficiente, alla fine si distruggano. Altri credono invece che gli alieni siano così diversi da rendere impossibile qualsiasi interazione. Infine potrebbero evitare di contattarci perché inviare segnali è rischioso, come mostra anche la serie Il problema dei tre corpi. La storia insegna che quando civiltà diseguali si incontrano, chi ha una tecnologia avanzata riduce in schiavitù l’altra.
I tentativi di comunicare con gli alieni
Il messaggio Morse, trasmesso nel 1962 dal radar planetario ucraino Evpatoria, è stata la prima comunicazione radio trasmessa consapevolmente nello spazio. Questa trasmissione consisteva in una serie di brevi trasmissioni radio verso Venere. Per tentativi più sofisticati bisogna però aspettare il 1974. Quando il Seti invia all’ammasso globulare Messier 13 il messaggio di Arecibo. È un messaggio radio interstellare che contiene informazioni di base sull’umanità e sulla Terra. Il messaggio fu trasmesso nello spazio tramite onde radio a modulazione di frequenza durante una cerimonia per celebrare la ristrutturazione del telescopio di Arecibo a Porto Rico.
L’ideatore Frank Donald Drake astrofisico e fondatore del Seti, ha costruito una cartolina interstellare attraverso il linguaggio universale della matematica e della scienza. Ha infatti utilizzato il codice binario su due diverse frequenze radio per raccontare l’umanità. Il problema è che il messaggio è stato inviato così lontano che se il Seti dovesse ricevere una risposta, impiegherebbe 50.000 anni per arrivare. Nel 2015, è stato creato il Meti International (Meti sta per Messaging Extraterrestrial Intelligence) e i suoi messaggi sono “tesori di scienza, arte e natura umana, con molti modi diversi per svelare i loro segreti”, ha spiegato il Seti. Il Meti invia i suoi messaggi a stelle molto più vicine a casa.
L’umanità negli ultimi decenni ha inviato diversi messaggi nello spazio. Nel 2001 l’astronomo russo Alksandr Zaitsev, insieme a un gruppo di ragazzi russi, ha trasmesso il “messaggio dei teenager” a sei stelle situate tra i 45 e i 68 anni luce di distanza. Una collezione di brani musicali, dalle canzoni folk russe a Beethoven. Nel 2008 la NASA ha trasmesso “Across the Universe” dei Beatles puntando alla Stella Polare. La lista è lunga. Le trasmissioni sono state diverse ma tutte avevano un elemento comune: raccontare l’umanità.
Ci conviene contattare gli alieni?
Al di là di come raggiungere gli alieni o come comunicare una volta stabilito il contatto, c’è un problema alla base: dovremmo contattarli? Per 60 anni gli scienziati hanno lanciato ricerche con i radiotelescopi, ascoltando possibili segnali provenienti da altre civiltà su pianeti in orbita attorno a stelle lontane. La ricerca ha raggiunto uno stadio tale da rendere legittima la questione. E viene da chiedersi cosa succederebbe una volta stabilito il contatto?
C’è chi spera non accada mai. Il motivo è semplice: qualsiasi altra forma di vita sviluppata sarebbe tecnologicamente più avanzata. La maggior parte delle stelle nella nostra galassia sono molto più vecchie del sole. Questo vuol dire che qualsiasi civiltà sarebbe milioni di anni più avanzate della nostra.
Fonte : Fanpage